La lista della spesa di Griffar: Old Wainds, Mesarthim e lo split Elffor/Aeon Winds

Dopo un lunghissimo silenzio quantificabile in dieci anni, pubblicano il loro quinto album i russi OLD WAINDS, dei quali ho più volte parlato come precursori della scena di Murmansk, città portuale dell’estremo Settentrione russo (siamo a Nord pure della città più settentrionale di Norvegia, Tromsø, oltre il Circolo Polare Artico). Ci ho messo un po’ di tempo a capirlo, ma il nuovo lavoro è molto più simile alla bufera di neve e vento che ci investe quando ascoltiamo Religion of Spiritual Violence (loro esordio del 2002) rispetto a quanto successivamente composto dalla band, pure estremo ma non così tanto estremo. Penso che fosse da molto tempo che non usciva un disco così perfettamente inquadrabile nello stile grim & frostbitten come Stormheart.

Carico d’odio, di oscurità e di sottomissione alla implacabile furia degli elementi, il disco diventa sempre più violento man mano che i brani passano; se da un lato l’apertura Watch the Midnight Unveil ci delizia con riff in tremolo picking sostanzialmente melodici, a partire dalla successiva – più breve – Northern Starfall i pezzi si fanno più crudi, sempre più oscuri, sempre più neri, fino al climax finale di Snow Swarm, dove sembra che stia veramente infuriando l’Olocausto (puro). Quando il disco termina è l’apocalisse che si cheta, mentre sorge un sole spento ad illuminare di non-luce grigiastra un regno di morte e desolazione. L’album è uscito per Darkness Shall Rise a metà novembre 2024, ma il CD mi è arrivato solo a metà febbraio; se fosse giunto in tempi più ristretti credo che la mia poll dell’anno scorso avrebbe subito almeno una modifica.

Il patto di sangue tra i baschi ELFFOR, band solista attiva dal lontano 1995 nonché peculiare per la sua impressionante, sterminata discografia che oltre a tutto il resto comprende 27 full, e gli slovacchi AEON WINDS si celebra i primi giorni di marzo di quest’anno. Venendo da un passato assai remoto, si può dire che tra i primi ad essere ispirati dai Summoning in modo palese ci sono stati proprio gli Elffor, che nulla fanno per nascondere la loro principale fonte d’ispirazione; poi, ovviamente, essendo in attività da così tanto tempo è logico che il loro suono abbia preso una direzione meno impostata sul mero riciclo, sicché oggi la loro proposta è divenuta incontestabilmente distintiva. Oggi si definiscono epic atmospheric ambient dungeon black metal, e in effetti tutto questo calderone di stili lo potete ritrovare in ogni loro creazione, sia essa una lunga suite da un quarto d’ora come Summoning the Depths (nomen omen), che apre l’opera con una robusta quantità di superbo black atmosferico costruito su una equilibratissima commistione tra chitarre “vibranti” e tastiere evocative e spaziali accompagnate da uno screaming piuttosto penetrante, oppure sia essa un lungo episodio di sole tastiere dungeon synth come il qui presente Left in the Cold, pure oltre i dieci minuti.

Per quanto riguarda gli Aeon Winds, già più volte da me portati alla vostra gradita attenzione in queste pagine, non ci sono troppe parole da sbrodolare per ribadire quanto siano bravi, coinvolgenti e capaci a fare sembrare breve e coinciso un brano che dura più di un quarto d’ora. Oggi sono vicini al culmine della loro ispirazione, e dire che le due suite con le quali partecipano a Pact of Blood sono ammirevoli è ancora riduttivo: riemergono influenze Summoning che nella loro recente produzione affioravano in modo meno palese, mentre inalterate restano quelle di derivazione Emperor; ciò che risulta è black metal atmosferico potente ed emozionante, fortemente impostato su melodie d’impatto senza trascurare stacchi improvvisi di pura magia ed epicità, prima che la velocità aumenti nuovamente così da deliziare i nostri timpani. Disco memorabile, da non perdere, che si è già riservato almeno un posto in top 10.

Il titolo più recente uscito a nome MESARTHIM, australiani iniziatori del filone cosmic black metal, viene classificato come compilation, e in effetti è l’edizione fisica della ristampa in un unico CD di due singoli usciti in precedenza solo in versione digitale. Anthropic Bias risale al 2022, antecedente anche all’ultimo full propriamente detto della band, quell’Arrival che di per sé non è malvagio ma a posteriori non è considerabile come il loro lavoro migliore; Departure è invece l’unico pezzo targato Mesarthim uscito nel 2024. Sono due lunghe suite da 17 e 19 minuti e mezzo, a mio parere nel complesso più ispirate rispetto al succitato The Arrival, ma anche rispetto al precedente full The Degenerate Era, mentre degli EP intercorsi tra questi due lavori alcuni sono più interessanti, altri meno (Vacuum Solution).

Sia Anthropic Bias che Departure sono più “cosmici”, più atmosferici, sono più strutturati sulle tracce di chitarra con le quali vengono disegnate trame interessanti, riff particolari anche lunghi e contorti e non vengono tralasciati passaggi di chitarra solista. Hanno sempre un ruolo significativo le tastiere, ma, quando si ascoltano pezzi di lunghezza rimarchevole come questi senza che ci siano passaggi a vuoto, superflui o sbrodolati tanto per allungarne il minutaggio, significa che è stato fatto un gran buon lavoro. Inoltre viene preferita una velocità di esecuzione mediamente più elevata rispetto al recente passato, anche se non mancano momenti più meditati di pura atmosfera. Il marchio di fabbrica è il loro, che sono – piacevolmente – ritornati a fare molto bene quanto di buono hanno dimostrato di saper fare in un passato neanche troppo lontano. Il CD esce per Avantgarde, come la maggior parte dei loro titoli da un bel po’ di tempo. (Griffar)

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