La lista della spesa di Griffar: Hyver, Mörkvind, Noctambulist

Tra la fine dell’anno scorso e gli inizi di quest’anno, considerando i dischi che mi sono perso, i CD che hanno tardato ad arrivare e storie tese varie, qualcosa da consigliare per appagare la vostra necessità di black metal degno di menzione c’è. È anche uscita un sacco di roba che più marcia non si può ma che, gira e rigira, è sempre la stessa solfa, della quale io al momento faccio volentieri a meno. Via, si comincia.

È uscito un nuovo EP dei transalpini HYVER, altro progetto solista in questo caso eponimo del soggetto (per l’appunto Hyver) che ha in piedi almeno altri cinque progetti, tra i quali Grylle, Tour d’Ivoire e Véhémence. L’edizione digitale di Fonds de Terroir risale anch’essa al 2024, mentre l’edizione fisica curata come prassi da Antiq Records è uscita in tempi più recenti; al disco in questo caso partecipano il bassista russo Konstantin Korolev e Summum Algor, batterista degli Adversam, ma non è dato sapere se la collaborazione sia estemporanea o se diventerà stabile. Intanto parliamo della loro musica: il genere proposto è un black sinfonico oscuro e melodico, profondamente contaminato dal dungeon synth.

La discografia degli Hyver, comprendente già due full usciti tra il 2023 e il 2024, si arricchisce dunque di un episodio più snello, quattro brani per una ventina di minuti circa nei quali l’artista francese dimostra nuovamente di essere in grado di maneggiare i due generi prediletti in modo più che egregio, creando infine una piacevole commistione in grado di soddisfare chiunque apprezzi musica di derivazione Summoning in modo più o meno marcato. L’EP è breve ma intenso e coinvolgente, e vola via in un attimo, un po’ come i due full, che contengono composizioni sulla medesima falsariga. Si aggiunge quindi al panorama del black metal notturno e medievaleggiante un altro valido nome, gradito di sicuro da chi preferisce un black metal più atmosferico che violento, caratterizzato da potenti infusioni di melodia. Magari non reinventano l’acqua calda, ma senza dubbio ciò che fanno lo fanno bene; dategli un ascolto.

Nei primi mesi di quest’anno sono usciti due nuovi episodi della saga MÖRKVIND, progetto di genesi italiana a dispetto del nome – ma se ben ricordo di ciò avevo già parlato. In questi tempi il gruppo è diventato un duo: a Vindur, che continua ad occuparsi di tutti gli strumenti e delle composizioni, si è affiancato alle voci tale Vetr, il cantante del gruppo tedesco invero assai sconosciuto Totholz (per loro è disponibile unicamente un mini-album uscito nel 2021). Col tempo la musica del gruppo si è fatta meno furente, più ragionata, con anche più arrangiamenti di tastiere, anche in questo caso ispirate dai Summoning più o meno datati e impostate su sonorità variegate implicite nel dungeon synth. Il fatto è che Versunkenes Reich è proprio un bel disco, atmosferico ed impregnato di melodie di livello superiore; il binomio iniziale Naturherz/Weltenbrand provoca ben più di un brivido, l’arrangiamento in stile fisarmonica di Zeit der Finsternis è azzeccatissimo al contesto; e la traccia omonima, maestosa, cupa, quasi tragica nel suo incedere lento, è benedetta da riff di assoluto pregio.

Dispiace allora che il disco duri appena 32 minuti, perché di musica di questo livello non se ne avrebbe mai abbastanza. Sempre a nome Mörkvind è uscito anche un EP che è una collaborazione tra i Nostri e il progetto svedese Tårfödd, facente capo al solo polistrumentista Simon Lindgren, attivo dal finire del 2023 e già distintosi per la ragguardevole prolificità (a gennaio è già uscito il quarto full, poi ci sono anche un paio di EP e altre uscite minori sparse qua e là). La musica l’ha scritta e suonata lo svedese, mentre Vindur ha cantato e scritto i testi (in inglese). A me i Tårfödd ricordano molto i Sorhin di I det Glimrande Morkrets Djup, aggressivi, veloci e con molta armonia provvista da riff di chitarra che si intrecciano e si alternano senza sosta. Ne consegue che anche questo disco prodotto “a quattro mani” segue questa direzione ed è senz’altro ben fatto e gustoso da ascoltare. Non una semplice curiosità, perché è già la seconda volta che i due gruppi si fondono per pubblicare musica: la cosa piacevolmente “strana” è che non abbiano creato un progetto parallelo apposta e continuino a usare i loro moniker principali. Speriamo che continuino così.

La nostrana These Hands Melt, etichetta devota al post-black o comunque a gruppi che interpretano il black metal secondo stili decisamente atmosferici e soffusi, pubblica De Droom, il secondo album degli olandesi NOCTAMBULIST (li si trova anche con il moniker NCTMBLST), costruito su nove brani per circa 45 minuti di durata. La copertina è meravigliosamente decadente e dipinge in modo più che preciso quanto potremo ascoltare nell’album, che è tutto malinconico, mesto, avvilito, desolato, in cui non si avvista alcuna possibilità di uscire da situazioni compromesse, di migliorare la propria condizione esistenziale e patire meno sofferenze.

Per essere un disco assolutamente inquadrabile nel post-black non si può evitare di notare una certa aggressività, superiore alla media dei prodotti di questo tipo; ciò è dovuto sia all’impiego di velocità maggiori sia a uno screaming più penetrante del normale, quasi vicino al raw black metal. Grande rilievo hanno le chitarre – addirittura tre, e sarebbe bello vedere se, dal vivo, gli arrangiamenti siano curati in modo da riprodurre tutto fedelmente come su disco, come dovrebbe fare un certo notissimo gruppo inglese – mentre una precisa sezione ritmica costruisce stacchi su stacchi, controtempi, accelerazioni e rallentamenti che variegano la resa sonora dei brani rendendoli sostanzialmente uno differente dall’altro. Pregio non da poco, al quale si affianca una durata dei pezzi non eccessiva (solo tre superano – di poco – i sei minuti) e una perizia compositiva non comune. Nel contesto post-black per il momento De Droom è senza dubbio il miglior disco dell’anno: ascoltatevi Godvormig Gat con attenzione, percepitene tutte le varie sfumature e sappiate che il livello di tutto l’album è questo. (Griffar)

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