Nu-grunge, vecchio hard rock e Seconda Repubblica: TREMONTI Vs STORACE

Fa un certo effetto ritrovare TREMONTI, dopo tutto questo tempo, magari più in secondo piano che un tempo, ma ancora lì. Accendi la TV o una webzine e magari te lo ritrovi ancora lì. Un po’ invecchiato, forse. Pare ieri che era ministro plenipotenziario dei Creed, con la sua chitarra a portarsi in dote il portafoglio dell’Economia del sound di tutto il nu-grunge dell’epoca. Erano il nuovo all’epoca, pareva una seconda Repubblica, e i tromboni di quella precedente, se non erano già morti, non parevano passarsela bene. Poi si sa, le fondazioni, le attività da conferenziere, e oggi un dinosauro come Eddie Vedder pare attuale come non mai, mentre certi esponenti del nuovo grunge paiono già soprammobili. Qualcuno ha notizie degli Staind? Si candidassero oggi, al massimo prenderebbero uno zero-virgola. E il tipo dei Puddle of Mudd, lo avete sentito con la chitarra acustica rifare i Nirvana? Con una prestazione così al massimo puoi candidarti come sindaco di Roma. Ora, pur essendomi sempre dichiarato all’opposizione, riconosco che i precedenti governi in cui Tremonti ha militato avessero un mandato popolare forte. Gli Alter Bridge anche una leadership carismatica nell’ottima voce di Myles Kennedy. Ma i conti li ha sempre fatti tornare Tremonti, piaccia o no. Bene, cambiano i tempi e soprattutto l’elettorato, crollano le ideologie e pure le post-ideologie (e le nu-ideologie), quindi ora al centro del simbolo sulla scheda elettorale conviene mettere bene in chiaro il nome del candidato premier. Così fa Tremonti, da qualche anno a questa parte. Pure se, riconosciamone la coerenza, la ricetta politico/economica che porta avanti è più o meno la stessa.

Così a quest’ultima tornata, il programma prende titolo di The End Will Show Us How. Un po’ meno ottimista, forse. La copertina, con quell’angelo macabro, sembra proprio significare che persino uno come lui, coi tempi che corrono, non ha da essere troppo fiducioso che le cose si possano ancora cambiare. Semmai governare. Quindi la ricetta che propone è ancora quella di un hard rock moderno e post (più che nu) grunge. Dove di questi ideali non resta più nulla dell’originale carica rivoluzionaria, ma solo qualche simbolo e qualche vestigia da mantenere per non spaventare l’elettorato. Poi si gioca sempre tra competenze da governo tecnico (le nozioni quasi djent di One More Time) e cessioni ad un populismo rassicurante (l’hard del bel singolo Just Too Much o ballate come quella che dà titolo al programma intero). Quindi un disco che va bene per l’elettore medio, acritico, quello che comunque alla festa estiva di partito a mangiare la salamelle ci va. Per chi ha sempre preferito votare partiti meno di massa, non è che Tremonti abbia chissà che appeal. Certo, ora che pure certi movimenti che promettevano di ribaltare l’intero sistema politico dal basso si sono rivelati infine eterodiretti, oltre che una bella fregatura, la tentazione di votare uno di quei partiti di massa nati dalla fine della Prima Repubblica a volte viene. Una volta ci saremmo sentiti irrimediabilmente vecchi ed arresi, a votare certa gente. Figuratevi ora, che i giovani nemmeno più votano la musica con le chitarre e vanno al mare, piuttosto.

Vi prego ora di non saltare a conclusioni e sprezzanti (pre)giudizi di natura politica se vi diciamo che qua in generale preferiamo chi resta fedele ai vecchi valori della Tradizione e quindi preferiamo anche il nuovo album di STORACE, sulla copertina del quale per di più campeggia fiera un’aquila ad ali spiegate, dal portamento imperiale, foriera di un cerchio di fuoco (forse reminiscenze di vecchie fiamme) all’interno del quale, a mo’ quasi di vecchi ideogrammi quali ‘IHS’, si inscrive una croce di ferro. Bene, Storace resta fedele ai valori dell’hard rock classico e con un disco come Crossfire ci rammenta benissimo come a un certo punto l’eredità politica di Bon Scott avrebbe potuto essere trasmessa al suo microfono, prima che una sciagurata Svolta di Fiuggi eleggesse l’albionico Brian Johnson. Ora, vecchie battaglie richiedono spesso nuovi compagni di avventura, spesso improbabili. Persino americani, persino apolidi, come in questo caso, visto che produzione e comparto strumentale sono prevalentemente nelle mani di Tommy Henriksen, già uomo dietro le quinte dell’internazionale Hollywood Vampires.

Strani compagni di letto, per condurre questa lotta, ma la militanza è tutto e il risultato sono dodici brani tondi, di hard rock classico, pura Tradizione. Sempre la stessa canzone alla AC/DC? Eh, ma la Tradizione è Tradizione e deviare è tradimento dei valori. Gli ascoltatori più ortodossi e saldi nelle proprie convinzioni ideologiche possono senz’altro apprezzare la solidità marmorea di brani maschi come Screaming Demon. A New Unity è l’intro con cui un vecchio militante sogna di risanare le fratture emerse in anni di lotte coi vecchi commilitoni, sulla scorta di un riff gagliardo ed un mid-tempo, quello di Rock This City, che non può che ricondurre sotto la stessa bandiera quanti si professano fedeli ancora al vessillo del Rock Tradizionale. Un brano come Sirens, col suo andamento mediorientale, mette in guardia l’avvertito che si lascia ammaliare facilmente dal relativismo musicale: non tutte le tradizioni sono uguali! Difendere il Rock, anche con album non-conformi rispetto alle ideologie musicali odierne, è un gesto politico. Può sembrare una lotta contro i mulini a vento, ma a chi interessa perdere se la Causa è quella giusta? E se qualcuno, tra il serio ed il faceto, avesse voglia di chiedergli “a Stora’, dicce qualcosa di rock!”, la risposta potrebbe essere una qualunque di queste tracce. (Lorenzo Centini)

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