Quel che è già morto non può morire: EPITAPH – Path to Oblivion

Se siete di quelli che credono all’esistenza di un dark sound italiano, il 2024 si è chiuso con un ritorno importante, quello di Tony Tears, e una perdita incolmabile, quella di Mario “The Black” Di Donato. Ma gli ultimissimi scampoli dell’anno hanno dato modo ad un’altra Entità di emergere dagli incensi mefitici della sua cripta, ovvero i veronesi Epitaph. Dei quali nessuno, credo, possa sindacare l’appartenenza al filone esoterico del metal nostrano. Vuoi per la presenza di “The Present” Luther Gordon (Mauro Tollini) e “The Past” Nicholas Murray (Nicola Murari) ovvero due terzi della formazione dei Black Hole di Land of Mistery, ovvero uno degli album più celebrati del dark sound, forse la prima tappa che solitamente incontra un Iniziato quando inizia ad esplorare le profondità di quella Scuola. Vuoi soprattutto per i primi tre demo usciti tra 1988 e 1994, prima dello scioglimento e della “rinascita” nel 2007, con nuovi affiliati al microfono e alla chitarra ed un suono che più dark sound non si poteva, specie per le mosse prog/wave del cantante Emiliano Cioffi.

Nel 2024 gli Epitaph si presentano non solo con un nuovo album, intitolato Path to Oblivion, ma anche con un nuovo cantante, Riccardo Del Pane, chitarrista nei ’90 dei bolognesi Excrucior (in realtà originari di Faenza, ci segnala un esimio lettore, NdA) e più recentemente voce nei progster Witchwood. E, soprattutto, con una “nuova” pelle. Ora, se siete interessati agli Epitaph ed al dark sound italiano, sono sicuro che avrete già mandato a memoria alcuni passaggi dell’intervista che Stefano Mazza, il nostro enciclopedico archivista del metal scomparso e dimenticato, ha strappato ad un tutt’altro che riluttante Antonio Polidori. Lì il musicista genovese ha fornito, per lo meno sotto il punto di vista squisitamente sonoro/musicale, la definizione perfetta del dark sound di cui parliamo spesso a vanvera (“…il doom tradizionale è sempre bello, ma con il dark sound non ha quasi niente a che vedere. Il dark sound è fatto più di stili heavy metal, anche sporchi e grezzi, contaminati da atmosfere da colonne sonore…”). Poi, ovviamente, c’è tutto il lato esoterico della faccenda che non può essere liquidato in poche, sintetiche sentenze.

Ma torniamo agli Epitaph del 2024, con Ricky Del Pane alla voce. Il cui nuovo, riuscitissimo album, risponde solo in parte alla definizione di un Polidori che metteva in guardia dall’utilizzo improprio di una formula spesso usata per banalissime (a volte anche buone) realtà squisitamente doom. Bene, perché Path to Oblivion è, per chiarissima scelta ed intenzione dei “nuovi” Epitaph, un album solidamente doom, in maniera anche piuttosto ortodossa e legata semmai alle modalità epiche anni ’80/’90 americane e svedesi. Ed in questa modalità il timbro stentoreo di Del Pane agisce egregiamente. Timbro cupo, nasale, acido ma, come dicevo, stentoreo. Deciso. Da predicatore, un predicatore sicuro, scuro ed occulto. Azzecca praticamente tutte le linee vocali e a volte si lancia in interpretazioni di carattere anche sorprendente. In tutta la prima parte del disco è lui a fare il bello e soprattutto il cattivo tempo, in Embraced by Worms, Condemned to Flesh e ancor di più in Nameless Demon. E se i titoli la dicono lunga sui temi affrontati nel disco, più ancora di quanto non faccia già la copertina, opera della transilvana Luciana Nedelea, gli strumentali sotto sono solidi, compatti, cupi ma non tanto sulfurei da farne svanire i contorni. In parole più semplici, tanto la sezione ritmica quanto i bei riff di Lorenzo Loatelli, il chitarrista dell’Incarnazione del secondo millennio, suonano corposi, duri e definiti, mentre l’apporto di tastiere e sintetizzatori sembra relegato ad un ruolo di atmosfera, per quanto non trascurabile. Riff sabbathiani al 100% si intrecciano così a linee vocali risolute su una ritmica pesante (ancora, Embraced by Worms). Il riff del singolone Kingdom of Slumber rivendica invece una stretta parentela con la scuola doom americana più apocalittica. È un bel sentire e il legame c’è, impossibile negarlo.

Ma quindi Path to Oblivion sarebbe “solo” un solidissimo album doom “old school” e l’oscurità catacombale della vecchia scena dello stivale non c’entrerebbe nulla? Piano. Ricordate quanto dicevo prima riguardo alle atmosfere dei sintetizzatori o comunque di quegli scarni effetti che si aggiungono alla struttura basso-chitarra-batteria? Benissimo: è proprio questa la chiave per cominciare a riconoscere, a ritroso, il lato occulto della faccenda. Perché se la grammatica del disco, come dicevo, è più “tradizionale”, canonica e tradizionale, lo spirito e gli intenti sono ben più sotterranei ed inquietanti. Non c’è “semplice” fatalismo o epica magniloquente, ma una sottile perfidia perversa e un’attrazione macabra per il mondo sotterraneo, in ogni senso. Così appunto certi cori (quelli della già citata Embraced by Worms) suonano più ectoplasmici di certi sintetizzatori, che pure stendono sudari su altre parti del disco. Ma il manifesto vero di questi Epitaph qui, incarnatisi nel 2024, è proprio Nameless Demon, altra traccia già citata. Mesta, asfissiante, procede verso l’abisso con passo sempre più deciso, sempre più morboso, fino a lasciare spazio ad altri cori-fantasma, ad chitarra solista libera ed espressionista e ad un refrain insistito sulle parole “rising from the grave” che mette, giustamente, i brividi. (Lorenzo Centini)

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