Crema, Cioccolata e Pa…prika, la commedia sexy che finì nel Maxiprocesso a Cosa Nostra

Michele Greco nasce il 12 maggio del 1924 a Croceverde-Giardini, un borgo rurale appartenente al Comune di Palermo, in un contesto familiare sui generis: è infatti il figlio di Giuseppe, soprannominato Piddu ‘u tenente, un esponente di Cosa Nostra. In un’altra frazione di Palermo poco distante, Ciaculli, vivono dei cugini di Michele, anche loro componenti di una cosca, tra i quali spicca Salvatore Greco, detto Cicchiteddu, classe 1923, futuro pezzo da novanta della mafia siciliana.

L’esistenza di Michele e della sua famiglia scorre in maniera più o meno lineare sino alla Festa del Crocifisso di Ciaculli del settembre 1939. Un gruppo riconducibile ai Greco di Croceverde si reca nella borgata limitrofa per partecipare al sentito evento religioso, portando da casa una panca, posizionata dai legittimi proprietari di fronte alla chiesa in cui si sarebbe svolta la funzione di lì a poco. Approfittando di un momentaneo allontanamento della combriccola di Croceverde, dei membri dei Greco di Ciaculli decidono di occupare la panca e, nonostante i ripetuti e veementi inviti, si rifiutano di liberarla. Scoppia una rissa, sedata quasi subito dagli astanti. La storia potrebbe concludersi qui, quasi identica alle cronache di centinaia di scazzottate paesane, ma non bisogna dimenticare i particolari fondamentali di questa vicenda: siamo nella Sicilia degli anni Trenta e le persone coinvolte nella contesa appartengono tutte a Cosa Nostra. L’onta, insomma, va lavata con il sangue.

Michele Greco

Sulla strada del ritorno, i Greco di Croceverde trovano i rivali ad attenderli, fortemente intenzionati a terminare la discussione in maniera definitiva, e spuntano fuori coltelli e pistole. Ci scappa il morto, un diciassettenne appartenente alla fazione di Croceverde, uno dei fratelli di Michele. Com’è facile immaginare, tra le due parti nasce una vera e propria faida che genera un’impressionante scia di morti lunga anni, fino a quando Cosa Nostra decide di porre fine allo scontro e nel 1947 richiede l’intervento risolutore di Joe Profaci, potentissimo boss del mandamento di New York.

Nel frattempo Michele, ormai adulto, viene affiliato. I suoi familiari, gabellotti da generazioni, hanno in gestione da decenni i terreni dei conti Tagliavia. Michele gradualmente se ne impossessa e rende il Fondo Favarella il quartier generale/la copertura del suo gruppo, all’interno del quale organizza summit mafiosi e omicidi. L’influenza e l’impunità di Michele Greco sono una conseguenza anche – se non soprattutto – della posizione di uno dei suoi fratelli, Salvatore, detto Il Senatore, sin da giovanissimo stimato membro della Democrazia Cristiana locale.

Michele Greco

Il potere di Don Michele comincia a crescere esponenzialmente a metà anni Settanta: in quel periodo nascono diversi contrasti all’interno di Cosa Nostra. Greco coglie la palla al balzo e tra doppie facce, finta diplomazia e manierismo diventa una sorta di mediatore/pacificatore dell’organizzazione, acquisendo sempre più rilievo, sino a guadagnarsi un soprannome molto eloquente: Il Papa.

Il clima teso genera in pochissimo tempo i prodromi della seconda guerra di mafia, che vede contrapporsi, all’inizio del decennio successivo, da una parte i rozzi sanguinari Corleonesi di Totò Riina, in quel periodo in piena ascesa, e dall’altra la borghesia mafiosa guidata dal boss Stefano Bontate, detto Il Principe di Villagrazia. Michele Greco conosce bene tutti i contendenti e, da centrista quale è, evita di schierarsi apertamente, mostrandosi amico di tutti, in attesa di prendere le parti del più forte.

Stefano Bontate, Totò Tiina e Tano Badalamenti

Nel 1981 Bontate decide di far uccidere Totò Riina, ma commette un gravissimo errore: rivela il suo proposito al Papa, il quale, da perfetto stratega doppiogiochista, spiffera tutto al feroce corleonese, che evidentemente considera il cavallo vincente. L’epilogo è scontato: il 23 aprile il Principe di Villagrazia sta rientrando dalla sua festa di compleanno, celebrata nella sua casa di campagna. Evidentemente non si accorge di essere seguito da una moto Honda, in sella alla quale viaggiano due tra i più pericolosi componenti della temutissima Squadra della morte di Totò Riina: Pino Greco detto Scarpuzzedda e Giuseppe Lucchese, detto Occhi di ghiaccio. Mentre Stefano Bontate è fermo ad un semaforo, la Honda affianca la sua Alfa Romeo Giulietta 2000 Super e subito dopo Scarpuzzedda fa partire una raffica di AK-47 all’indirizzo del Principe di Villagrazia, facendogli esplodere la testa. La guerra è iniziata, ma Michele Greco si è messo al sicuro: Totò Riina e compagni, per ovvi motivi, lo considerano un alleato, mentre i sodali di Bontate chiaramente non sanno che il loro capo è stato ucciso proprio a causa di una soffiata del Papa.

La morte di Stefano Bontate

Nell’estate del 1982 il vice dirigente della Squadra mobile di Palermo, Ninni Cassarà, grazie anche all’aiuto di un confidente, contribuisce pesantemente alla stesura del Rapporto 162, un dossier in cui viene tracciato il quadro della mafia siciliana, compresi i dettagli sugli schieramenti coinvolti nella guerra in corso. Il documento finisce sulla scrivania del magistrato Rocco Chinnici e ben presto cambia nome in Michele Greco e altri 161, perché gli inquirenti si rendono conto che Il Papa ha ormai raggiunto un ruolo apicale negli organigrammi di Cosa Nostra. L’obiettivo è portare alla sbarra i 162 personaggi elencati nel rapporto per poi sbatterli in galera, con la speranza di scoprire ulteriori particolari sull’organizzazione e, soprattutto, altri nomi di mafiosi da mandare all’ergastolo. Venendo informato per tempo sulla brutta aria che tira, Don Michele Greco si dà alla latitanza.

Rocco Chinnici

I vertici di Cosa Nostra a questo punto sono preoccupati e decidono di dare un segnale forte: il 29 luglio del 1983 una Fiat 126 imbottita di tritolo pone fine all’esistenza di Rocco Chinnici. Due anni dopo, il 6 agosto del 1985, Ninni Cassarà viene ammazzato di fronte alla sua abitazione a colpi di Kalashnikov. Uno dei suoi killer è il già citato Scarpuzzedda.

Il lavoro di Chinnici e di Cassarà getta le basi per il Maxiprocesso di Palermo, che ha inizio nel febbraio del 1986 ed è un vero e proprio confronto, il primo, tra lo Stato e Cosa Nostra. Uno dei principali imputati (sono oltre 400 in totale) è ovviamente Michele Il Papa Greco, che viene arrestato praticamente in concomitanza con l’inizio del mastodontico processo penale, in un casolare ubicato nelle campagne di Caccamo (Palermo), dopo circa quattro anni di latitanza.

Tommaso Buscetta

Oltre ai numerosissimi imputati, i protagonisti del Maxiprocesso sono i collaboratori di giustizia, su tutti il famosissimo Tommaso Buscetta, spronato a rivelare i segreti della mafia siciliana da Giovanni Falcone sin dal 1984. Oltre a parlare del ruolo di primissimo piano di Michele Greco all’interno della Commissione di Cosa Nostra, i cosiddetti pentiti fanno anche un’altra rivelazione importante: Giuseppe, il figlio poco più che trentenne del Papa, fino a quel momento incensurato (come suo padre, del resto), secondo loro è un affiliato, per giunta con una parte attiva all’interno dell’organizzazione. A causa di queste dichiarazioni, quindi, il rampollo della potente famiglia di Croceverde finisce sul banco degli imputati. C’è dell’altro. Un film, per la precisione. A questo punto, però, è necessario tornare indietro nel tempo di qualche anno.

Giuseppe Greco (in piena tradizione, porta lo stesso nome di suo nonno paterno, il già menzionato Piddu ‘u tenente), classe 1953, unico erede di Don Michele, sin da giovanissimo ha una travolgente passione per il cinema. Non si occupa praticamente mai degli affari – sia quelli leciti che quelli illeciti – della sua famiglia: dopo il liceo si iscrive alla facoltà di medicina, ma abbandona quasi subito gli studi e, sostentato da suo padre, insegue il sogno di diventare regista. Comincia ad avere i primi contatti con l’ambiente cinematografico nella seconda metà degli anni Settanta, periodo in cui nel mainstream nostrano domina la cosiddetta commedia sexy all’italiana, un genere leggero e facilone, popolato da personaggi maschili in larga parte macchiettistici, come l’onnipresente Lino Banfi, e da personaggi femminili quasi sempre prorompenti – diciamo così – come la stratosferica Edwige Fenech, la coppia d’assi Gloria Guida/Lilly Carati o la conturbante Laura Antonelli.  

Tra il 1979 e il 1980, Giuseppe decide di fare un film tutto suo e chiede aiuto a suo padre. Il Papa sgancia una cifra considerevole, circa 600 milioni di lire (uno stipendio mensile medio si aggira intorno alle 500.000 lire), ma c’è un problema: il giovane aspirante cineasta non ha alcuna esperienza significativa in quel mondo, quindi ritiene opportuno affidare la creatura ad un professionista del settore. La scelta ricade su Michele Massimo Tarantini, regista romano di lungo corso, sia nel genere poliziottesco che nella commedia sexy. Tra i suoi lavori ci sono anche dei capisaldi, come Napoli si ribella del 1976 e La professoressa di scienze naturali dello stesso anno.

Barbara Bouchet

Le riprese iniziano nel 1980: si gira per buona parte nella zona di Palermo. Il cast si può definire quasi stellare, perché annovera attori di spicco nel mondo di un certo tipo di comicità: Renzo Montagnani, Silvia Dionisio, Giorgio Bracardi e Barbara Bouchet. Non basta: la pellicola voluta da Giuseppe Greco vanta anche la partecipazione del duo comico più famoso della storia del cinema italiano, Franco e Ciccio. I due attori palermitani, dopo decine e decine di film insieme, si erano separati ufficialmente nel 1974 e tornano a recitare in coppia, a distanza di anni, proprio in questa occasione.

Oltre ad essere – seppur tramite i soldi della sua famiglia – il finanziatore del progetto, il figlio del Papa ha un duplice ruolo: è sia uno dei soggettisti che uno degli attori principali. Il film, Crema, Cioccolata e Pa…prika, esce nelle sale cinematografiche palermitane nel 1981. Per pubblicizzare l’imminente distribuzione nel resto d’Italia, buona parte del cast viene invitato in una delle trasmissioni di punta della Rai, Domenica in. Oltre alla Tv di Stato, l’opera viene reclamizzata sul territorio siciliano in tutti i modi possibili ed immaginabili, tra cartelloni, camion vela e addirittura magliette.

In Sicilia il film si rivela un flop colossale al botteghino. La situazione è talmente drammatica che Crema, Cioccolata e Pa…prika non viene distribuito in altre regioni, escludendo qualche sparuta sala romana, e la critica lo massacra, definendolo – nel migliore dei casi – una commedia sexy scialba, incentrata su stilemi ormai più che sorpassati. All’atto pratico, insomma, si tratta solo ed esclusivamente di un enorme spreco di soldi. Non finisce qui. Sul banco degli imputati del Maxiprocesso, anni dopo, Giuseppe Greco viene interrogato dai giudici anche riguardo alcuni fatti inerenti la lavorazione del film, perché si ritiene che dietro le quinte ci sia un tentativo di riciclaggio di denaro. Non solo: in molte scene viene utilizzata un’automobile di livello, una lussuosa Mercedes 500 SE. L’imponente macchina tedesca appartiene a Nino Salvo, un colletto bianco di Cosa Nostra. Come se non bastasse, diverse t-shirt pubblicitarie di Crema, Cioccolata e Pa…prika vengono ritrovate dalle forze dell’ordine all’interno delle abitazioni private di alcuni mafiosi.

Il figlio del Papa nel primo grado di giudizio viene condannato a quattro anni di reclusione, ma viene in seguito assolto in Cassazione. Dopo la brutta esperienza, decide comunque di proseguire la strada del cinema ed esordisce come regista nel 1992 con Vite Perdute. Per ovvi motivi sceglie di usare un nome d’arte, Giorgio Castellani. L’idea del film è ambiziosa: dare un seguito a due classici di Marco Risi, Mary per Sempre del 1989 e Ragazzi fuori del 1990. Per ottenere il suo obbiettivo, Greco scrittura quasi tutti i protagonisti delle due pellicole ispiratrici, con l’aggiunta di un vero e proprio pezzo pesante: il neomelodico Gianni Celeste, qui nei panni del criminale Rosario Raito. Il cantante non ha alcuna esperienza attoriale e viene doppiato (questa è l’unica apparizione cinematografica della sua esistenza).

Vite Perdute non solo non raggiunge lo scopo, ma viene per giunta snobbato da pubblico e critica, finendo quasi subito nel dimenticatoio. Greco/Castellani non demorde e nel 1997 ci riprova con I Grimaldi, un lungometraggio dalle forti tinte amatoriali ispirato alla vita di suo padre. Al 2005 risale il terzo ed ultimo lavoro del figlio del Papa, La mafia dei nuovi padrini, di cui praticamente non esiste alcuna traccia.

Don Michele Greco muore il 13 febbraio del 2008, mentre sconta una lunga serie di ergastoli. Il suo famoso augurio di pace al giudice Alfonso Giordano, poco prima della sentenza, è ormai storia. Tre anni dopo, il 12 febbraio del 2011, viene a mancare anche suo figlio, stroncato da un tumore. Nel 2019 Leandro, classe 1990, figlio di Giuseppe e nipote del Papa, viene arrestato e in seguito condannato a dodici anni di reclusione per associazione mafiosa. Sin da giovanissimo si fa chiamare Michele, come suo nonno. Probabilmente qualcuno un giorno farà un film su di lui, ma magari no. (Il Messicano)

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