Colpi di fulmine: MEFITIS – The Skorian // The Greyleer 

Non so se capita anche ad altri, ma, personalmente, ogni tanto scopro una band nuova e dopo dieci secondi so già che mi piacerà tutto quello che ascolterò. E alla fine, passato il trasporto iniziale da prendere sempre un po’ con le pinze, effettivamente mi piace tutto quello che ho ascoltato. È successo con il duo californiano Mefitis. Formatisi nel 2007 e scioltisi dopo un paio di demo nel 2010, si rimettono insieme nel 2014 e dopo cinque anni arrivano a pubblicare il primo full dal titolo Emberdawn. Già allora sapevano il fatto loro e avevano personalità da vendere. Definiscono la loro musica “dark metal” e ora sono giunti al terzo disco, uscito qualche giorno fa, dal titolo The Skorian // The Greyleer. Possiamo definirlo un death dalle tinte black, ma è giusto per intenderci. I Mefitis, come potrete ascoltare, hanno qualcosa in più rispetto alla pletora di band che suona lo stesso genere e ovviamente, in casi come questo, è andata a finire che ci abbia messo sopra le mani la Profound Lore.

Veniamo al dunque: The Skorian // The Greyleer è davvero un buon lavoro. È moderno, complesso, melodico, evocativo e a tratti epico. La prima cosa che mi ha colpito è il crescendo all’interno dello stesso disco. Sarò io, ma ho come l’impressione che le tracce, mano a mano che l’album scorre, si intensifichino, si stratifichino. La materia oscura di cui sono fatte tenderà a farsi sempre più fitta mano a mano che scorrono i 41 minuti del lavoro. L’album è infatti composto da due sessioni in studio registrate nel 2021 (The Skorian) e nel 2023 (The Greyleer) e, pur non essendoci differenze nelle registrazioni, il distacco temporale è reso evidente dal fatto che i pezzi della seconda parte ci consegnano una band più matura. Lungo tutto il disco troverete sentori prog mischiati a bellissimi riff e a un’evocatività che ricorda i migliori Emperor, grazie alla voce che passa dallo scream al pulito. Le linee di batteria seguono le melodie senza strafare o sovrastare mai l’oscurità intrinseca dell’album. Dopo parecchi ascolti ci si accorge che forse manca un po’ di dinamicità; qualche stacco o qualche momento strumentale in più avrebbero aiutato a prendere respiro a un lavoro che, nonostante questo, rimane affascinante e quattro spanne sopra la media. (Luca Venturini)

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