Veni, vidi, Vixen: BOBBIE DAZZLE – Fandabidozi

Vecchio volpone, Lee Dorrian. Noi stiamo aspettando che torni a profanare cimiteri, coi With the Dead, e nel frattempo lui, o meglio la sua Rise Above, l’etichetta discografica, viaggia costante, piazzando poche uscite, ma generalmente tutte interessanti. Tutta una parte del campionario non ci stupisce certo, tipo Church of Misery o Friends of Hell. Nemmeno quella parte stoner/doom più retrò, tipo Blood Ceremony e Uncle Acid & the Deadbeats. Però il buon Dorrian è interessato anche al revival incontaminato dei ’60 e dei ’70 , come fosse una forma vitale e resistente (a cosa: vedete voi), quanto lo erano anarco punk e grindcore qualche decennio fa. E magari per questo decennio qui, sciagurato, non so se le cose stanno proprio così, però suoni e idee nuove non se ne vedono e allora scegliersi una nicchia retrò può sembrare un gesto quasi politico, a volte.

Prendete il texano Caldwell, uscito quest’anno sempre su Rise Above, che fa psichedelia pop con la clessidra ferma all’epoca della British Invasion. Uno dei nomi portati alla luce dal buon Lee qualche anno fa, invece, per noi truci metallari dal cuore tenero, era quello dei Purson di Rosalie Cunningham, che poi si sono allontanati prima e sciolti poi. Contate invece che coi Lucifer, passati alla Nuclear Blast, la Rise Above ha perso in un colpo solo il numero più rock’n’roll e quello più glamour. Ma chiodo scaccia chiodo, ed ecco che la perdita viene colmata ora dall’esordio solista di Siân Greenaway, già negli Alunah di Birmingham, banda doom ora di nuovo in cerca di una cantante (oltre che di un’identità), ché la Greenaway l’ha mollata proprio in prossimità dell’uscita recentissima dell’ultimo Fever Dream. Con gli Alunah si occupava del canto e del flauto traverso (immaginate l’originalità). Solitamente fasciata in abiti sbrilluccicanti e generosa nel mostrare doti musicali tali da accentrare su di lei le attenzioni degli ascoltatori. Comunque, adesso la pulzella viaggia da sola, o meglio con una sua band di accompagnamento, e lancia tra luci acide ed abiti persino più succinti un suo progetto glam pop’n’roll col suo nuovo nome d’arte di Bobbie Dazzle. E Lee Dorrian non poteva farselo scappare.

Immaginate però la sorpresa quando il materiale promozionale diffuso online dalla stessa Rise Above citava, oltre a riferimenti scontati (si fa per dire) come Sweet, Slade, T-Rex, New York Dolls, Runaways e il Bowie Stardust, anche i romani contemporanei Giuda, che hanno fatto partire da Tor Pignattara in tutto il mondo un altro mini revival esplosivo, quello del bovver rock, un glam/rock’n’roll anni ’70 nella versione più proletaria, skinhead ed uligana. Li conosce bene i Giuda, il buon Dorrian, il quarto disco glielo aveva pubblicato lui, però il riferimento stupisce comunque e fa piacere, anche se non è centratissimo, a dire il vero. Perché Siân/Bobbie è tanto più glamour e patinata. Ma tanto. E vi dico, in qualche punto di questo Fandabidozi (cosa cavolo significa Fandabidozi poi sono dovuto andare a cercarmelo) pare che la voglia sia più che altro quella di rievocare un’apparizione TV degli Abba, su una delle prime TV a colori entrate nelle case di tutti. Per quel che ne possa sapere io degli Abba. Immaginerete: non moltissimo. Perché insomma, all’inizio Fandabidozi carbura pure per bene, con l’attacco di Lightning Fantasy, che esibisce un riff procace ed una mercanzia tale da far distrarre persino gente coniugata col rock’n’roll da decenni, come il buon Nicke Andersson. C’è della frivolezza pop, già un po’ civettuola, ma è ok. È dopo che si calca la mano sulle paillettes e le sonorità si fanno subito ancora più morbide e rotonde.

Da quel momento in poi, quindi praticamente già dalla seconda canzone, le chitarre non scompaiono, non del tutto, ma sicuro contano come il due di briscola quando a comandare è la regina di cuori. È tutto un tripudio di suoni sbrilluccicanti e tastiere gonfie, qualche stomp da ballare ciondolando ed oscillando in qualche balera (Back to the City), battendo le mani e i piedi, balletto sul posto, un passo avanti, uno indietro, uno a destra, poi a sinistra, piroetta, battito di mani e via. Insomma, voialtri potete pure decidere di non approfondire. E ci mancherebbe, ma non mi chiedete perché lo abbia fatto io, ché ognuno ha le sue debolezze. C’è un brano intitolato It’s Electric che, con un titolo così, non poteva che essere il più selvaggio, scalmanato, sballottolante. Il brano turgido, insomma. Beh, non esageriamo comunque. Fandabidozi è un tripudio di gusto glam-pop retrò che per qualcuno sarà pure cattivo gusto, ma per altri magari no.

Prodotto inglese, per me è roba perfetta per il mercato tedesco, per tipi con le camicie sgargianti e coi baffi a manubrio. Comunque, andateci piano con le aspettative, con gli Slade e le Runaways. Bowie non ve lo sto manco a dire. Bobbie Dazzle gioca proprio un’altra partita, più sfacciata, più patinata. Piu accogliente, quasi materna. Le canzoni sono tutte carine e orecchiabili, ma ho la sensazione che se continuassi ad ascoltarle inizierebbero a stufarmi. Passaggi carucci ci sono, soprattutto se provate una qualche forma di feticismo quando cercate vecchi filmati TV anni ’70, magari di qualche gruppo heavy, ed incappate invece nel pop più sfacciato, ottimista e puerile. Tipo i Bay City Rollers di Rock And Roll Letter (non me la tolgo più dalla testa). Soft rock per famiglie. O almeno per qualche buon padre di famiglia, non piu giovanissimo e dalle fantasie retrò (Antique Time Machine), perse tra valli popolate da bambole e volpi (supervolpi, megavolpi ed ultravolpi). Ognuno ha il revival che si merita. Ok, Dorrian intanto ha di sicuro roba migliore da spacciare, anche in campo soft-retrò. Per esempio, ha tra le mani i The Crystal Teardrop che appena tirano fuori un disco intero vediamo un po’ chi è sincero per davvero quando afferma che conta più l’anima della forma (o delle forme). (Lorenzo Centini)

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