La finestra sul porcile: SMILE 2

Forse con Smile 2 sarebbe già il caso di interrompere un franchise che era partito piuttosto bene, con lo Smile del 2022. Stesso autore e regista, il tale Parker Finn che aveva esordito col primo volume, e stessa maledizione. Non una trovata originalissima, quella della maledizione che infesta una persona alla volta fino a farla impazzire e morire, per poi parassitare qualcun altro. Se non era l’originalità della trama la caratteristica del primo film, c’erano comunque dei punti di forza nella messa in scena, tra colori saturi-ma-non-troppo (gli interni sereni della clinica psichiatrica), riprese, inquadrature e movimenti di camera riusciti (più che nella media horror che arriva normalmente in sala anche da noi), trovate splatter e macabre (qualcuna memorabile) e soprattutto l’inquietudine di quei sorrisi forzati. E se jump scare deve essere (a volte ci vuole), Parker sembrava capace di andare oltre il consueto mostro fatto con grafica computerizzata che fa BUH all’improvviso.

Qualcosa del trailer di Smile 2 però non mi convinceva già. Cambiava il contesto, con la necessaria solitudine della protagonista trasferita stavolta nel mondo fatto di riflettori, palchi e telecamere di una divetta pop dei giorni nostri. Sembrava una sfida interessante, questa, solo che il trailer non aveva alcunché di veramente pauroso, a parte rilanciare le trovate del primo film. Tipo la testa ciondolante dell’altra volta, se l’avete visto sapete. Ma è una domenica pomeriggio pigra, il cinema è a due minuti da casa e una volta tanto c’è un horror forse meno banale, quindi il culo si muove eccome, per portarlo a sedere su un’altra poltrona per due ore.

E niente, il film, a parte un breve prologo in una qualche periferia con malviventi e spacciatori, che si ricollega col primo film (anche se non ce n’era veramente il bisogno), si muove tutto negli ambienti fluo e patinati delle produzioni milionarie di quel pop da mentecatti con l’autotune che muove legioni, al giorno d’oggi. La Interscope è coinvolta veramente, avendo prodotto le tre “canzoni” del film, per cui non non è che sia più un film a dimensione indie, capirete. C’è anche un’ossessione a mostrare i personaggi mentre trangugiano avidi intere bottiglie di acqua minerale di lusso della marca Voss, che è evidente abbia finanziato la produzione e non credo in via occulta, tanto è esibita la pubblicità. Nonostante si siano premurati gli sceneggiatori di dare una spiegazione del perché la protagonista beva tanta acqua, è forse questo l’elemento del film che m’ha trasmesso maggiore inquietudine, a conti fatti. E lo so che in precedenza avevo stigmatizzato la diffusione dilagante di personaggi avvinazzati nelle produzioni Netflix, paventando qualche ingerenza della lobby della vite, ma piuttosto che l’acqua… Rimpiango insomma l’epoca in cui qualsiasi tavolino rappresentato su schermo in ogni produzione italiana sorreggeva una bottiglia di un whisky mediocre con l’etichetta gialla. Ma chiusa la polemica, perché non è l’acqua minerale da 5 dollari al litro il problema di Smile 2.

Il problema è che, a parte due o tre sequenze riuscite (preso sulla singola scena, Parker Finn sa convincere), il film non fa paura e annoia mortalmente e a lungo per tutti quegli ammiccamenti a quel mondo mentecatto di pop per mentecatti con l’autotune. Ovviamente la protagonista è amatissima dal pubblico, che conoscendo il suo passato tossico ignora invece la sua personalità irrimediabilmente tossica, ma non c’è ovviamente nessuna traccia di sue qualità artistiche, perché non ne ha mica, e il film, a parte un pezzetto banale al pianoforte, per fortuna non prova a farci credere che una poveretta multimilionaria vestita come un pagliaccio, mentre biascica in mondovisione delle cantilene in mezzo a venti figuranti, in realtà sarebbe la nuova Billie Holiday. Ma chiudo anche questa polemica qui, sennò sembra che sono il solito vecchio trombone vetero-rockettaro che stronca un film perché non gli piacciono le canzoni. Perché ripeto, quella di calare la serie di questo demone qui in quel contesto poteva funzionare. Refn e Guadagnino (richiamato secondo me in maniera anche ovvia nella scena coi ballerini nell’appartamento) hanno saputo tirare fuori inquietudine potente da quel mondo di neon, palchi e riflettori. Ma stiamo parlando di autori di un certo livello, anche se non li apprezzo al 100%. Parker Finn è (per ora) un autore molto bravo di jump scare ma a far fare il salto di tematica e portata alla sua idea non ci riesce. Nemmeno la sottile persecuzione psicologica di It Follows (trama per certi versi simile) sarebbe cosa sua. Il finale poi, tra grafica 3D orrenda (il mostro) e un plot twist che più che un “twist” sembra una caduta scomposta, rovina definitivamente la visione. E allora mi saltano agli occhi un paio di difetti macroscopici di questo film qui. Il primo è che non c’è nessun sviluppo della trama generale e se la protagonista del film precedente sembrava intenzionata a scoprire il perché, a questa non frega quasi niente. Il secondo difetto è che i sorrisi, stavolta, fanno molta meno paura. (Lorenzo Centini

5 commenti

  • Avatar di Sam

    L’ho già scritto altrove.
    Purtroppo, il cinema americano evidentemente segue lo stesso declino della cultura americana (e occidentale).
    Per ogni prodotto valido e originale spesso moncato o alterato per aderire a ideologie woke e politically correct (da quando l’arte segue le regole della politica anziché farne satira e denuncia?), ci sono venti sequel, prequel, reboot e remake (ancora più infarciti della retorica di cui sopra) che leviamo il treno che trovano e sfruttano un franchise fino a spremerne persino le ossa andando ineluttabilmente a sbattere contro il muro dell’ovvieta, della mediocrità e spesso della demenzialità.
    Il fatto che questo p(i)attume (e non mi riferisco in particolare a Smile 2 che non ho visto ma al cinema specialmente hollywoodiano in generale) venga puntualmente stroncato dal pubblico sembra non infierire sull’andazzo generale. Segno che anche in America, come in Europa, le sovvenzioni ricevute dalle case cinematografiche per inserire determinati messaggi nei film sono abbastanza cospicue da sopperire alle perdite.
    Basti vedere il tonfo di The Crow. O il nulla circondato di rosso e giallo di Deadpool e Wolverine. O ancora la perdita di interesse di molti (non ancora abbastanza) verso l’ennesimo minestrone Marvel o l’ennesimo riadattamento di qualche cult che sarebbe più prudente non scomodare.
    A qquesto punto, dovrebbe sorgere spontanea qualche domanda…

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  • Avatar di Anima e Psiche

    Bell’articolo, l’ho letto fino in fondo con grande interesse. Ho appena scoperto questo blog e mi piace. Leggerò sicuramente altri articoli. Saluti!

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  • pietro il coglione
    Avatar di pietro il coglione

    mi piace sto cazzo di sito.

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  • Avatar di Andrea

    Il vero problema non è tanto il presunto ‘declino del cinema’ quanto quello della critica.

    Sempre più spesso leggo giudizi superficiali o addirittura infondati, a volte scritti senza neanche aver compreso o visto attentamente il film.

    immagino che l’autore di questo articolo ha parlato male anche di Joker, e forse elogiando invece The Substance – un film che, a mio avviso, è riuscito male.

    Questo modo di fare critica non valorizza o migliora il cinema, anzi lo impoverisce.

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