Avere vent’anni: VADER – The Beast
Chi ci legge ed ama i Vader ricorderà quando mi occupai del ventennale di Revelations e presi le distanze dai colleghi recensori che lo ritengono un album minore, sostenendo che, anzi, quello era uno dei migliori periodi in cui si trovavano i Vader, perché scrivevano canzoni bellissime e travolgenti. La stessa cosa dirò oggi per The Beast, che è un altro ottimo disco dei polacchi. Anche a Luca Bonetta piacque, lo confessò quando recensì Solitude in Madness. Tornando a The Beast, la formazione che lo incise fu di soli tre elementi, ovvero il leader Piotr “Peter” Wiwczarek, che si occupò di voce, chitarra e basso; Maurycy “Mauser” Stefanowicz alla chitarra; Dariusz “Daray” Brzozowski alla batteria. Questi sono gli stessi musicisti che poi nel 2006 avrebbero composto Impressions in Blood, ovvero il loro capolavoro a giudizio universale. Curiosamente, sul disco c’è accreditato un bassista chiamato Novy, ma in realtà le parti di basso sono state incise da Peter. Su The Beast avrebbe dovuto suonare il batterista storico dai Vader, Doc, ovvero Krzysztof Raczkowski, il quale però si ruppe gravemente una mano e dovette restare fermo per un po’. In quel periodo aveva tra l’altro seri problemi di alcolismo, per cui in realtà non sappiamo quale fu la vera causa della sua assenza.
Sappiamo che, purtroppo, Doc morì di infarto l’anno seguente, per cui di fatto la sua carriera all’epoca di The Beast era già finita. Daray lo sostituì molto bene, è un altro bravissimo batterista, molto virtuoso. Credo che il suono della cassa su questo disco non piaccia a Marco Belardi perché in alcuni tratti suona quasi come un pallone sgonfio, ma meglio chiedere direttamente a lui. Il suono degli altri strumenti invece funziona bene per lo stile dell’album. Rispetto al precedente Revelations, da cui deriva e a cui assomiglia, i brani di The Beast sono caratterizzati da una maggiore influenza thrash, che è sempre stata una caratteristica dei Vader, e mostrano una scrittura più varia e anche più libera, per esempio The Sea Came at Last che ha un’atmosfera fantastica, con arpeggi, rallentamenti, blast beat e la leggendaria risata di Peter, che compare almeno una volta in tutti gli album. Un brano come Dark Transmission invece è molto diretto, dal tempo medio e decisamente thrash. Arrivati all’inizio di Firebringer sembra quasi di sentire i vecchi Sepultura, per poi arrivare alla classica “tirata Vader”, impreziosita da alcuni ottimi assoli. Con The Beast i Vader consolidarono il loro stile, il cui lato migliore è la capacità di mantenere un movimento costante fra groove e potenza, dimostrando di saper garantire coerenza e alta qualità generale. Questo non è l’album che definisce tutta la loro carriera, ma è comunque un lavoro molto solido e degno di grande attenzione. (Stefano Mazza)

