Avere vent’anni: GRAVE – Fiendish Regression
Immaginate di essere dei ragazzini da poco entrati nell’adolescenza che abitano su un’isola nel mar Baltico nella seconda metà degli anni ’80. Immaginate di essere, tra l’altro, anche metallari e di aver appena scoperto una nuova versione estrema del genere, allora ancora embrionale, che chiamano death metal. Voi decidete che volete suonare proprio quella musica. Poi sentite che proprio in Svezia qualcosa inizia a muoversi e quasi subito venite presi in considerazione pure voi. Cominciate a fare tour, dischi, interviste. Immaginate che figata essere stati i Grave allora. Come altri, hanno quindi goduto del momento glorioso nei primi anni ’90 e la successiva caduta in miseria del genere per poi risvegliarsi all’inizio di questo millennio con la rinascita del genere.
Rispetto agli esordi, quando il death metal stavano contribuendo a crearlo anche loro, all’epoca dell’uscita di Fiendish Regression Ola Lindgren e i suoi si sono un po’ adagiati sullo stesso suono, iniziando a sfornare sempre più o meno lo stesso disco a cadenza biennale, rimanendo nell’affollatissimo territorio dei dischi senza infamia e senza lode. Non che prima abbiano composto capolavori innarrivabili (anche se Into the Grave era un discone) però dalla rinascita in poi sembra che manco ci provino più. Ma dei Grave non si butta via niente, dicono dalle mie parti. Se proprio allora si vuole trovare una ragione d’essere a Fiendish Regression, la si può ricercare nel suono in generale. Loro è chiaro che compongono senza uscire dalla zona di comfort e quindi il disco può servire proprio per i piccoli momenti della quotidianità: stai compilando un F24? Metti su Fiendish Regression. Stai caricando la lavastoviglie? Metti su Fiendish Regression. Stai tentando di uscire dal parcheggio al concerto dei Rammstein? Metti su Fiendish Regression. E così via. Ecco, va bene per tutte queste situazioni dove non puoi concentrarti più di tanto sulla musica perché stai facendo altro ma non vuoi neanche stare a sentire i suoni dell’esterno. In questi casi, un death metal così può andare benissimo. La produzione è piacevole, i momenti di furia si alternano ai mid-tempo senza troppi sconvolgimenti, la durata è accettabile e non ci sono momenti di estasi né di schifo. Può essere che loro stessi siano contenti che li si ascolti così, tanto i dischi non vendono più, figuriamoci quelli di death metal, e poi, quando passano dalle tue parti, ti ricordi del vecchio zio Ola e magari vai anche a vederli e gli compri una maglietta. Avercene di gruppi come i Grave.
