Dominions of Satyricon: i trent’anni di The Shadowthrone

La battaglia contro Dio e il cristo bianco cristiano abbia inizio! Questo è il proclama di guerra iniziale di sir Sigurd “Satyr” Wongraven che dà inizio a The Shadowthrone, seconda pietra tombale del cosiddetto trittico delle meraviglie dei Satyricon. Ammetto che dopo trent’anni faccio fatica ancora a scegliere tra questo e Nemesis Divina (il primo lo metto un gradino sotto), quello che è sicuro è che sono due dei più grandi dischi che la Norvegia abbia mai partorito, sebbene non abbia mai compreso il motivo per cui The Shadowthrone nell’immaginario collettivo goda di meno credito rispetto agli altri due.

Credo che il fatto di essere uscito così a breve distanza da Dark Medieval Times (appena dieci mesi) non l’abbia aiutato di certo, così come non l’ha aiutato il successo clamoroso di vendite e di critica che ebbe il suo successore, come se per certi versi fosse un po’ stritolato tra questi due immortali capolavori. Quel che è certo è che siamo nel periodo in cui il giovanissimo Satyr tramuta in oro ogni cosa che tocca, compresi progetti paralleli dello stesso periodo come Wongraven e gli Storm col suo amico Fenriz.

Dicevo della breve distanza in termini di pubblicazione tra i primi due lavori, il che potrebbe far pensare a due dischi stilisticamente simili quando invece non è così: innanzitutto per la presenza, alla chitarra e basso, di un Samoth in procinto di entrare in qualche confortevole carcere norvegese, che inevitabilmente dà un tocco molto più emperoriano a tutto (sentitevi Woods to Eternity), e poi per un’atmosfera molto meno medievaleggiante ma più oscura e teatrale, direi quasi aristocratica, e una varietà di soluzioni, compresi rimandi al folk e ad un certo viking primigenio (Vikingland per l’appunto), che lo differenzia dal predecessore. I primi due pezzi del disco (Hvite Krists Dod e In The Mist by the Hills) sono la perfetta dimostrazione di come nel black metal non ci sia bisogno di pestare a mille con blast beat a manetta per impaurire l’ascoltatore: trattasi di due brani dalla struttura principalmente lenta e cadenzata, ma con un’aura tra l’epico e il maligno a cui contribuisce anche lo straordinario lavoro di Steinar “Sverd” Johnsen alle tastiere.

Inutile dilungarsi più di tanto, The Shadowthrone è l’ennesimo capolavoro uscito dalla Norvegia in quell’indimenticabile 1994, e il fatto che questo e altri dischi di quel periodo (di cui abbiamo già parlato e di cui parleremo) compiano trent’anni mi fanno sentire fottutamente vecchio e nostalgico. (Michele Romani)

 

4 commenti

  • Avatar di Fanta

    Nemesis Divina è un iconico compendio manualistico sui luoghi comuni del black metal. In pratica un Bignami per gente che acquista prodotti culturali in Autogrill.
    The Shadowthrone, di contro, è un capolavoro.

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  • Avatar di mark

    il primo disco black comprato originale…che tempi spettacolari! Dalla Norvegia usciva davvero roba pazzesca. Del disco mi esaltavano soprattutto le atmosfere create da synth (l’ultima è un capolavoro) e arpeggi, Vikingland invece non riuscivo a digerirla molto, anche se devo ammettere che il pezzo fu un contributo essenziale alla nascita dell’insopportabile viking metal fatto di costumini scemi, zufoli e voci a-la-Pavarotti.

    La cosa più dura è pensare che direttore generale dei Satyricon avrebbe subito da lì a poco un degrado tale da portarlo a pubblicare monnezza come “Fuel for hatred”, fare servizi fotografici sulla Porsche, concerti con orchestre classiche, reclamizzare vini e cazzate simili.

    Lo chiamo “direttore generale” perchè Satyr è sempre stato un buon imprenditore assieme ad esempio a Fenriz, al contrario invece degli altrettanto geniali Samoth, Vikernes e compagnia bella.

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  • Avatar di Elfo Cattivone

    Questo è il migliore.

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  • Avatar di griffar

    Io non penso solo che The Shadowthrone sia l’apice della creatività dei Satyricon.
    Io penso che sia uno dei più straordinari capolavori dell’intera storia della musica rock.

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