Pace e fratellanza tra i popoli: HYPERDONTIA – Harvest of Malevolence

Ci sono un polacco, che certamente il nostro Piero Tola conosce, due turchi e un danese. Questi quattro suonano un death metal spettacolare, prodotto ad arte e avente in vetrina una voce cavernosa che farà strafelici i fan degli Incantation, qualora i cloni degli Incantation a disposizione fossero ritenuti pochini. Il debutto degli Hyperdontia – così si chiamano – risale al 2018 ed è intitolato Nexus of Teeth. Vantava alla voce l’altro danese a disposizione dei Nostri, poi silurato, tale David Mikkelsen. Ossia un cantante dal timbro ancor più gutturale e incomprensibile. Col presente Mathias Friborg gli Hyperdontia hanno già inciso due album, fra cui l’odierno Harvest of Malevolence. Direi che alla voce biografia abbiamo quasi finito: il chitarrista Mustafa Gurcalioglu è attivo anche con i più che discreti Engulfed, turchi, da non confondere con gli ottimi Engulf, americani del New Jersey con in formazione il solo Hal Microutsicos. Tutti gruppi death metal, ad ogni modo. In un derby all’anagrafe tra Mustafa Gurcalioglu e Hal Microutsicos ne vedremmo delle belle.

Il problema degli Hyperdontia è che sinora hanno suonato un death metal cupo e in cui l’unica variante prevista dal menù era il passaggio dal flavour doom alla classica sparata death metal in blast beat. Ciò che sinora ha reso tutt’altro che indispensabili gli innumerevoli cloni degli Incantation è stato il semplice fatto di non saper uscire da codesto schema vincente. L’hanno fatto perché funzionava: il problema è che l’hanno fatto e rifatto tutti.

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Gli Hyperdontia hanno cominciato a svegliarsi e a proporre un pastone un po’ più appetitoso: fermo restando che il livello delle composizioni è assolutamente alto, leggasi alla voce “il riff finale di Marking the Rite” per goderne più che a sufficienza, in Harvest of Malevolence troviamo più riff, più cambi di tempo, più cura strumentale; in linea di massima troviamo una maggiore varietà. Lungi dall’affermare che preferisco questo agli altri – probabilmente lo preferisco al primo e lo metto al pari di Hideous Entity – credo che con Harvest of Malevolence la discografia dei turchi o danesi o quel che sono abbia finalmente imboccato una strada, che sinora era semplicemente la strada degli Incantation e dei Dead Congregation.

Le parti veloci sono oggi dotate di un’intelaiatura più vicina al thrash metal, il che, al sottoscritto, piace eccome. Laddove rallentano, ovvero un po’ dappertutto, la sensazione è che gli Hyperdontia siano dei mestieranti altamente dotati: non c’è bisogno di affinare alcunché ma c’è, casomai, il bisogno di curare minuziosamente l’integrazione delle parti e di non ripetere eccessivamente gli schemi vincenti. Gli stop and go alla Cannibal Corpse disposti in maniera un po’ improvvisa sono incredibili, se non addirittura indispensabili in un brano altrimenti piatto e prevedibile come Pestering Lamentations. Anche la melodia è gestita discretamente bene (Pervasive Rot, i cui riff con gli armonici risaltano sulla voce e sul comparto strumentale restante) senza che venga mai adoperata a piene manciate. Bene così, altro album death metal di un certo spessore in un’annata piuttosto positiva: ma c’è un disco che ho recensito a marzo che dubito si potrà anche solo avvicinare. (Marco Belardi)

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