Gotham City Doom: GÖDEN – Vale of the Fallen
I Göden sono una creatura di Stephen Flam, che coi Winter, nel lontano 1990, ha pubblicato un album, Into Darkness, che per far contento il Belardi definiremo seminale. Bene, la presenza di un nome (nel suo piccolo) storico dietro alla recente creazione di un gruppo (a suo modo) doom è una delle ragioni che mi fa accomunare Vale of The Fallen ai dischi dei Tar Pond e dei The Evil, che ho recensito relativamente di recente. L’altra ragione è la natura ibrida di questo doom, senza uno spiraglio di luce, o di romanticismo. Un attimo, i Tar Pond almeno sono melodici, hanno un’anima (disperata). Diciamo allora che i Göden li accomunerei più ai brasiliani. Ma senza lirica. Neanche un’ombra di umanità nella musica dei Göden (a parte forse qualche nota di piano o violino, giusto intro o intermezzi o sfumature). Tre elementi principali (gli altri in secondo piano). Synth spettrali. Riff di chitarra secchi, dal suono che a fine ’90 avremmo definito “moderno” (alcuni chitarristi di certe strane derive tra post e nu metal suonavano più o meno così, a tratti, come Carlos Sepulveda, figlio di Luis, negli svedesi Psycore). Un rantolo, un quasi growl, ferino più che femminile. Questi i tre elementi che si muovono tra bassifondi immobili, stagnanti, asfissianti. Non un raggio di luce raggiunge questi bassifondi e la musica procede a passi pesanti, la voce, un rantolo, dicevo, pare strozzata dalla mancanza di ossigeno, laggiù.

C’è qualcosa di gotico, nel death-doom dei Göden. Ma intendo un gotico industriale, o post. Universo da cui viene Nxyta (Goddess of Night), qui alla voce e anche negli Hanzel und Gretyl. La musica dei Göden però non è cazzona, o ballabile, o fetish. È nera, o antracite, è il suono dei bassifondi di Gotham City (i Göden sono di New York), ispirato parecchio dai Celtic Frost e quindi manco troppo distante dai Triptykon. Tutto lento, però, nessuna accelerazione. Solo oppressione lentissima, stagnante. Synth come sudari e spettri di altri suoni. Chitarra che meno rock e più fredda di così non so che bisogna fare. Quasi new metal a volte, quasi drone in altri, ancora più astratta del resto. Comunque il timone sarà nelle corde di Flam, ma è il canto stregonesco che conduce l’ascoltatore per davvero. Lo traghetta sempre più a fondo, giù, nei sotterranei più bui e insalubri di una megalopoli. Il mondo che quelli che passano sopra, in superficie, preferiscono ignorare. (Lorenzo Centini)

I Winter più che seminali sono oggetto di culto supremo. Daghe!
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mmmh non so la voce non mi ha entusiasmato, ho chiuso e ho rimesso Petrol dei Tar Pond di cui lessi la recensione qui tempo addietro
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