Avere vent’anni: NEUROSIS – The Eye of Every Storm

The Eye of Every Storm – da qui TEOES – usciva quindi vent’anni fa. Strano, perché a risentirlo oggi non sembra così vecchio, pur risultando un album adulto già nel 2004. Così è nato, così è rimasto.

Che dobbiamo dire dei Neurosis che non si sia già detto? Che sono una band ormai leggendaria? Che hanno sfornato capolavori, tra cui proprio TEOES? Che non sono mai, anche nei lavori meno ispirati, scontati? Già detto, già fatto. Del resto sono in giro, certo con lunghe pause riflessive, almeno dal 1988.

Ma indulgiamo ancora un po’ a questo ritrito gioco. Perché i Neurosis continuano ad essere interessanti? A mio modo di vedere, la risposta alla domanda giace nella complessa e labirintica evoluzione del loro suono. TEOES è infatti il risultato di un percorso nient’affatto scontato, che si snoda attraverso una metamorfosi sonora evidentemente figlia delle passioni dei membri della band ma sviluppata non in modo passionale, bensì razionale, con una tecnica certosina e un costante sforzo autocritico. Di certo, le multisfaccettate esperienze soliste dei singoli componenti dei Neurosis apportano non poco al sound generale della band. Se vivi la musica come la hanno vissuta loro e ti interessi, da ascoltatore critico, di cantautorato, di doom, di hardcore, di garage rock, di industrial, di rock psichedelico, di post rock, di musica ambient, hai evidentemente più frecce da portare al tuo arco. I Neurosis, per di più, sono riusciti a catalizzare tutte queste distinte influenze in una direzione precisa, con una prospettiva – seppur sperimentale – volta alla definizione di uno stile personalissimo e mirato. L’incorporazione, strada facendo, di nuovi musicisti e del loro know-how musicale è stata sfruttata in modo intelligente, per integrare in modo armonico tutte queste disparate influenze. Alla fine, i Neurosis somigliano solo ai Neurosis.

Quando esce TEOES, i Neurosis hanno alle spalle dischi giganteschi come (solo per citarne due) Through Silver in Blood e A Sun that Never Sets. Entrambi i dischi, sebbene molto diversi, sono figli della sperimentazione e il cuore pulsante di entrambi è la ricerca di una quadra sonora che sia capace di far sposare violenza e disperazione. Questo solo per dire che, se TEOES risulta essere il loro disco più sperimentale e allo stesso tempo uno dei più consistenti, è perché si colloca, secondo me, alla fine di un percorso cominciato ben prima. È un disco, infatti, in cui i Neurosis riescono a bilanciare in modo perfettamente geometrico, ma non freddo, scolastico – nel senso più dispregiativo del termine –, le componenti principali della loro musica: quella hardcore degli esordi, quella elettronica (esplorata in modo patente attraverso le esperienze della band in cui militano, parallelamente, i membri degli stessi Neurosis, i Tribes of Neurot), quella cantautoriale (che emerge ed emergerà ancora nei lavori solisti di Von Till e Kelly). C’è da dire, inoltre, che nonostante la spiccata sperimentazione e la durata considerevole (poco meno di un’ora e dieci minuti) questo è, nonostante tutto ciò, un album estremamente rarefatto. Ogni canzone riesce ad accompagnare, ad una complessa alternanza delle ritmiche, la semplicità delle strutture, come se appunto, ascoltando ognuna di esse, si avesse la sensazione di essere situati al centro di ogni ciclone e se ne potessero osservare, in uno stato di calma apparente, e comunque temporanea, l’eyewall circostante, uragani convulsi e simmetrici, torreggianti, flussi aerei ed acquatici. Questa rarefazione è ancora più evidente se si contrasta questo lavoro con le barocche – in senso positivo – orchestrazioni dei lavori immediatamente precedenti.

In questo senso, i Neurosis giocano con i suoni e con i loro significati. Attraverso tale allegoria ascolto questa musica. Per esempio, i tuoni che scandiscono, assieme agli strumenti, il tempo di Burn, sino alla catarsi, osservata dall’occhio del ciclone. Così interpreto le pulsazioni elettronica della title track, dall’occhio della tempesta. In questo senso penso anche a Shelter, l’unico brano strumentale: situato quasi al centro del disco, il riparo dalla tempesta che ne è allo stesso tempo l’asse geometrico. Così, alla fine, trascorro i sei minuti finali di I Can See You.

Vorrei anche spendere due parole sulla produzione del disco, non solo perché è eccezionale ma anche perché è frutto del lavoro di Steve Albini, recentissimamente scomparso. Qui, come in altri lavori, se ne apprezza la capacità di saper separare meticolosamente ogni strumento e riuscire a dare allo stesso tempo armonia e coesione alla musica, la destrezza nel tessere in trama unica sonorità metalliche e taglienti con atmosfere cupe, pantanose, che intrappolano l’ascoltatore. (Bartolo da Sassoferrato)

4 commenti

  • Per me il capolavoro immenso dei Neurosis è e rimarrà sempre ( e di gran lunga ) Souls at zero.
    “Isolated so long, blighted by the first frost.Longing for the warmth of human touch.Through this wall of ice I can see you.
    Callous only outside, from the kickingAnd the beating down.Please rip them from my body, please!
    Glacier growing larger.Mirror growing darker.Do you see the blue?”

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  • Sono d’accordo su tutto. Per molto tempo è stato il mio disco preferito del gruppo di Oakland. Aggiungerei poi che dal vivo, in 10 minuti, erano in grado di zittire chiunque per annichilimento sonoro e spettacolo visuale. Visti per la prima volta, praticamente senza conoscerli prima, al Babylonia negli anni ’90 mi lasciarono un segno indelebile da allora non ho mai smesso di seguirli. Giusto sottolineare anche la grandissima perizia di Albini nel catturarne l’essenza, soprattutto magistrale il lavoro sulla batteria che ha dei suoni assolutamente fantastici.
    Peccato per il futuro incerto: ho paura che non li rivedremo più, sicuramente se dovessero riemergere lo faranno senza Scott Kelly che, non senza un certo scalpore, è stato giustamente buttato fuori viste le accuse mosse a suo carico.

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  • Visti due volte, di cui una con i Converge a Bologna. Non posso dire di ascoltarli sempre, perché diciamocelo non è che li si può ascoltare così, dal niente. Ci vogliono preparazione e impegno, perché in quello che fanno sono (e probabilmente saranno per sempre) i numeri uno.
    Trovo purtroppo improbabile un qualsiasi futuro per i Neurosis, perché penso che senza Kelly (grande artista e al contempo uomo di merda, come tanti del resto) non credo gli sia possibile esprimere in musica intensità e sofferenza nella stessa maniera a cui ci hanno abituati. Si vede che per lui stesso i Neurosis non sono stati una valvola di sfogo o un’opportunità di redenzione, il che a pensarci bene è un po’ preoccupante.

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