I Mastodon che volevamo: DVNE – Voidkind
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Sulle scene da circa dieci anni, i DVNE rimangono ad oggi una band semisconosciuta. Il seguito di pubblico però non rende giustizia alla qualità della loro musica, decollata infatti in modo abbastanza spedito. Non ho ascoltato Asheran, album del 2017, ma se Omega Severer – EP di poco meno di venti minuti – mi aveva lasciato abbastanza indifferente, è con il disco successivo, Etemen Ænka (2021) che questa compagine scozzese centra l’obiettivo. A detta di molti, quello è il disco dei Mastodon che tutti stavamo aspettando da molto tempo. Ruvidità delle chitarre, ritmiche spezzate e malsane e una giusta dose di grandeur tragica donavano alla musica dei DVNE un’aria di epica grandiosità, senza per questo essere pomposa, ma inserendosi nella tradizione post di Neurosis-iana memoria attraverso un suono malato e labirintico, ma non cervellotico.
Questo Voidkind, quindi, raccoglie la sfida lanciata dal disco precedente riuscendo decisamente a mantenere le promesse. Disco dalla copertina decisamente indovinata, ci ripresenta i DVNE in forma veramente smagliante. Le sonorità, c’è da dire, recuperano in parte quelle del full precedente, ma in questo caso la componente stoner è leggermente meno presente, a favore invece di quella più prettamente post metal. È un genere però lontano da quello suonato dagli ultimi Isis, e quindi, sebbene vi siano componenti tastieristiche, la musica è principalmente chitarrocentrica e scevra di innesti elettronici. Il disco, rispetto al precedente, è decisamente più diretto e la produzione, se possibile, ancora più sporca. Dal punto di vista del missaggio mi sembra che le voci occupino troppo lo spettro musicale a scapito della strumentazione e specialmente della batteria, che mi risulta un po’ troppo spalmata nel sottofondo. A livello di gamma dinamica, Voidkind non è certo la peggior cosa che si possa ascoltare, ma credo che sia purtroppo un’altra vittima della loudness war. A livello compositivo, in Voidkind mi sembra di rinvenire una fusione tra le due epoche paradigmatiche dei Mastodon, quella di Remission e quella di Crack the Skye, dato che a mio modo di vedere la tipologia dei suoni sembra afferire più al primo, ma la struttura dei pezzi ricorda in particolar modo il secondo.
Ad ogni modo, i DVNE non si ammorbidiscono, come accadde invece alla band statunitense proprio con Crack the Skye, e anzi si mantengono fedeli alle ritmiche granitiche di chitarre non compresse e alle rasoiate slabbrate dei solisti. La band ripropone l’alternanza di differenti stili vocali e l’affastellamento di più voci, come ci si può accorgere immediatamente durante i primi secondi dell’apertura, Summa Blasphemia, che ha un tiro veramente eccezionale. Per di più in alcuni momenti appare anche una voce femminile che contribuisce a dare ulteriore profondità. Eleonora è un pezzo che ricorda da vicino proprio i Mastodon, quelli migliori di Aqua Dementia, per esempio, dato che un tesissimo arpeggio iniziale sfocia poi in un riffing massiccio e poderoso, ma si concede anche il lusso di una parte centrale più atmosferica. Anche gli assoli, come quello di Reliquary, sono azzeccatissimi, e soprattutto si integrano alla perfezione nel flusso magmatico e costante della musica. Sarmatæ riesce ad alternare riff suonati sui registri bassi alternandoli o con sciabolate più acute o con innesti ritmici frenetici e, del resto, a parte Abode the Perfect Soul non ci sono pezzi costruiti attorno al build-up sonoro. Plērōma, sebbene non pesante come le tracce precedenti, riesce a mantenere alta l’adrenalina che scorre lungo tutti i pezzi del disco e, per di più, a una certa sfodera un riff rock spettacolare, da Baroness in gran spolvero. Cobalt Sun Necropolis chiude il disco. L’introduzione è decisamente, e inutilmente, lunghissima ma quando, dopo due minuti, inizia il pezzo vero e proprio, la musica cambia. Letteralmente. Il pezzo è interessante: sebbene meno bombastico dei precedenti, questa mancanza viene sopperita dall’inclusione di venature molto più oscure e malinconiche nelle frasi musicali, complici anche i cori che le contrappuntano ed alternano sino al crescendo finale.
Voidkind è un bel disco ma, soprattutto, non è un disco noioso. Riesce a mantenere alta l’attenzione, diverte e, credetemi, gasa parecchio: provate a metterlo in macchina con il finestrino abbassato e il volume a palla. Dopo una rapida botta di conti, e sebbene siamo appena a inizio giugno, mi sento di dire che Voidkind rientra appieno nella mia top ten 2024. Riuscirà a rimanerci sino a dicembre? Potrei sbilanciarmi e rispondere: sì. (Bartolo da Sassoferrato)
Sono ancora (e sempre sarò) un metalhead (oggi anche frate francescano, felice possessore di una Jackson 7 corde). Osservo una cosa molto vistosa (in silence i observe (cit.)): è dagli anni 70 che le release metal, soprattutto le estreme, non riescono a fare a meno di dipendere dalla sacralità, dallo storpiare testi sacri, dal confronto perenne con il mondo cristiano. Anche nella ritualità il male non è altro che un cercare di capovolgere il bene, rimanendovi sempre legato, però. Vedo che il male, e tutto ciò che vorrebbe rapprentarlo, non ha una identità propria, non sta in piedi da solo. Gli serve qualcuno con cui prendersela, qualcuno da accusare, demolire. Anche la musica a volte fa proprio questo: incolpa qualcuno per non guardarsi dentro, e se si osserva lo fa con l’odio di chi si vede sbagliato. Solo il bene sta in piedi da solo, e l’armonia (che sia in 4/4 o in 27/18) viene solo dal bene, anzi il Bene, dal quale fortunatamente ancora dipendiamo nella Verità. Scusate l’appunto. Buona musica bros!
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interessante e curioso questo commento, in linea generale ne condivido sicuramente il contenuto, Solo che io, non essendo francescano ma cristiano ortodosso, non riesco pacificamente a “non curarmi di loro, guardando e passando”. Cioè, quando vedo gente come Ghost o Batjushka fare soldoni sfruttando un certo tipo di immagine pseudoreligiosa io li vorrei proprio prendere a legnate in faccia, sentendomi preso in giro come amante della musica; se si presentassero sul palco in jeans e scarpe da tennis forse non se li cagherebbe nessuno. Comunque la chiesa ha resisito a secoli di guerra coi nostri vicini musulmani, al crollo demografico, agli invertiti, al mondialismo capitalista, agli scandali del vaticano…non credo verrà scossa piu di tanto da qualche centinaio di giovinastri in giro per il mondo che fanno fischiare le chitarre.
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Non li conoscevo, grazie per la segnalazione. Più che i Mastodon, ci sento parecchio dei Burst e qualcosa dei The Ocean.
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Avevo pensato un po’ la stessa cosa che evidenzia fra Gaetano di fronte alla magnifica copertina del magnifico La morsure du Christ con Notre Dame in fiamme e il rosone sul cd. Nelle interviste stappano lo champagne al rogo della cattedrale come “simbolo del decadimento della spiritualità del mondo occidentale”, ma in realtà non possono che nutrirsi di quella tradizione che pretendono di negare.
E’ comunque un discorso complesso e che non sarebbe male approfondire ad esempio per quel che riguarda i Peste noire, di cui qui mi sembra non si parli mai.
ps: dato che siamo in vena di coming out.. nel metallo da su per giù 23 anni, attualmente sono in Brasile come missionario laico per il Pime, pontificio istituto missioni estere.
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