PEARL JAM – Dark Matter

Non è facile parlare di uno dei gruppi con cui sei cresciuto, uno di quelli che “bruciava di vita” fino a qualche – forse un po’ di più – anno fa, sapendo già, ancor prima di premere play, che non proverai più certe emozioni, o al massimo le proverai in proporzioni diverse.

Se vogliamo parlare di periodo d’oro dei Pearl Jam, quello si chiude con Yield, disco straordinario al quale sono legato particolarmente essendo il primo che ho acquistato “in diretta”. Successivamente arrivò l’ottimo Binaural, dopodiché si alternano album che vanno dal buono all’anonimo. In particolare il penultimo Gigaton, in cui i nostri provano a sparigliare un minimo le carte, e una buona parte di Backspacer (che parte col pilota automatico, ma poi riesce a inanellare una serie di pezzi davvero clamorosi) restano le migliori testimonianze di quello che i Pearl Jam possono essere in questi anni: un gruppo che ha raggiunto una sua maturità artistica e umana, che non potrà essere più un grado di sorprendere e che in fondo, se andiamo a vedere anche i dischi storici, è sempre stato un gruppo “classic rock”.

Perché al di là dei testi, di alcuni pezzi (quasi tutto VS), dell’attitudine live e del look, se prendiamo in considerazione certi gruppi della stessa epoca i Pearl Jam sono sempre stati quelli più lontani da sonorità punk o comunque più estreme, e, al di là della produzione, i loro brani prendevano molto più da Neil Young che da gruppi di rottura. E se erano così da ragazzini figuriamoci oggi, dopo aver assoldato un produttore “invadente” come Andrew Watt, presente anche in tutti i crediti dell’album, che azzera le sperimentazioni del disco precedente e riporta i Pearl Jam nella loro più assoluta comfort zone. Il risultato, purtroppo, non convince appieno.

574191EC-EE02-4BAC-9005-9616D58B5A86Dark Matter non è il brutto disco che moltissimi appassionati stanno descrivendo: è vero, la produzione è iperpompata, a volte appiattisce troppo determinati brani e toglie qualunque “ombra” a composizioni che ne avrebbero beneficiato, ma non elide, comunque, la forza di alcune composizioni sicuramente molto riuscite. In particolare, a sorprendere positivamente sono alcuni dei brani più tirati che, ultimamente, erano quelli che risentivano maggiormente di una certa stanchezza.

L’apertura di Scared of Fear è davvero ottima, i nostri sono in palla, il ritornello ti entra subito in testa e Vedder è come sempre perfetto. Anche la successiva React, Respond funziona alla grande e contiene addirittura elementi del passato remoto dei Pearl Jam, seppur inseriti in un contesto più “classico”. Confermando una tendenza delle loro ultime prove, anche in questo caso alcuni brani melodici sono davvero notevoli: la successiva Wreckage, in questo senso, è senz’altro uno dei migliori possibili esempi di quello che possono dare, nel 2024, i Pearl Jam. Un pezzo vedderiano sui rimpianti, sulle ombre che offuscano il nostro giudizio e i nostri sentimenti e ci lasciano come delle carcasse attraversate dall’acqua. Un brano estremamente malinconico, ma connotato anche da una certa dolcezza che si acquisisce quando si vedono determinate cose a distanza di tempo.

pearl-jam-dark-matter-world-tour-2024-ph.danny-clinch-2-1

Dopo un inizio così convincente, però, inizia subito a profilarsi quello che è l’evidente difetto di Dark Matter. Ogni brano contiene buone idee, spunti interessanti, ma non tutti questi spunti si traducono in composizioni convincenti e, molto spesso, si ha la sensazione di un lavoro estremamente altalenante.

Se il brano che dà il titolo al disco è davvero il prototipo del pezzo anonimo da radio rock generalista, i suoni pompatissimi e sintetici rovinano in parte anche la buona Won’t Tell, connotata da un ritornello davvero notevole, mentre la produzione esalta le atmosfere settantiane di Upper Hand, brano melodico tra i migliori dell’album e tra i più “classici” mai incisi dai Pearl Jam, ma, paradossalmente, anche tra i meno banali dell’ultima parte della loro discografia. Altalenanza che si sente moltissimo nell’ultima parte del disco, con canzoni che contengono anche passaggi interessanti (Waiting for Stevie), ma non riescono mai ad incidere veramente a causa di soluzioni trite e ritrite (Running), o di idee melodiche buttate via con troppa banalità (Something Special), risollevandosi solo nella ballata acustica conclusiva di Setting Sun, canzone molto semplice, immediata, ma che colpisce al cuore proprio per la sua sincerità.

pearl-jam-1993-eddie-vedder-interview-cover-story-1539975698
Non c’è molto altro da dire: parliamo di un album che non rappresenta di certo la migliore versione possibile dei Pearl Jam, sia in generale sia considerando la loro terza età artistica. Non un “brutto” album, al di là dei soliti commenti che ormai si leggono appena si pronuncia il nome “Pearl Jam”, ma un lavoro appena sopra la sufficienza, appiattito da alcune scelte errate a livello di produzione e da una certa stanchezza che si respira in molti degli ultimi lavori della band. Anche se, prescindendo dal giudizio critico, per chi ha amato davvero tanto i Pearl Jam ci sono comunque certi pezzi, alcuni momenti che fanno bene al cuore. Forse perché ci si ricorda quello che è stato, come eravamo quando ascoltavamo alcune canzoni che hanno segnato le nostre anime; e così, per un minuto (solo un minuto), nei passaggi più ispirati sembra possibile tornare a quei giorni e a quella sensazione di totale leggerezza che si ha quando, come i Pearl Jam, si bruciava di vita.

E forse anche per questo non riuscirò mai ad essere totalmente critico nei confronti dei Pearl Jam: perché fanno emergere una delle parti più autentiche e pure di me, anche se per pochi minuti. (L’Azzeccagarbugli)

 

6 commenti

  • Avatar di cipcip

    Non lo ascolterò mai.
    Dal vivo, una garanzia, visti molte volte. Soprattutto se fanno brani dai primi cinque, soprattutto i primi tre.
    E’ morto Steve Albini, non ne sapevo niente, volevo solo vedere Todd Trainer live su iutub e nei commenti, la notizia.

    "Mi piace"

  • Avatar di Simone Amerio

    Nei giorni in cui si piange la scomparsa di Albini ci ritroviamo un disco pesantemente condizionato dal produttore.

    Il che la dice lunga su quanto abbiano venduto il culo allo showbusiness. Non da oggi e nemmeno da ieri.

    Ormai sono decenni che si limitano a fare il compitino, tanto i live vanno sempre sold out, un paio di singoli decenti da passare in radio (da noi direi almeno 5-6 passaggi al giorno su Virgin Radio li fanno) e via di filler e dischi che non hanno molto da dire. Brutto? No, anonimo.

    Però siamo sinceri: è una band che ha finito di avere qualcosa da dire dopo Yeld. Poi qualche sussulto ma non esagero a dire che farei fatica a fare un disco intero con le canzoni migliori uscite nei dischi successivi.

    Piace a 1 persona

  • Avatar di Valdrin

    Ormai da diversi anni la brutta copia di quello che erano, dischi, a partire da riot act, che finiscono presto nel dimenticatoio

    "Mi piace"

  • Avatar di justaminute

    non ho sentito il disco ma sento quello che hai provato tu

    "Mi piace"

  • Avatar di Andreaz

    facevano due palle anche 30 anni fa. Gruppo più sopravvalutato di quella scena a mani basse

    "Mi piace"

  • Avatar di fabio rossi

    Ogni volta che esce un disco dei Pearl Jam ,la solita lagna di commenti.Vale la pena recensirlo?

    "Mi piace"

Lascia un commento