IN VAIN – Solemn
Sei anni ci sono voluti per arrivare a sentire questo nuovo disco degli In Vain. Il sestetto norvegese, che può vantare un pedigree piuttosto blasonato, calca le scene oramai da poco meno di vent’anni. Due decenni dall’andamento inspiegabilmente altalenante e costellati, a opinione di chi scrive, da episodi felicissimi intervallati da scivoloni che rasentano l’imbarazzante.
Il primo disco che recuperai degli In Vain, che me li fece conoscere ed amare, è l’esordio The Latter Rain, del 2007, che considero un gran disco, invecchiato benissimo, e che già allora proponeva quella che si sarebbe immediatamente imposta come cifra stilistica della band. Avendo studiato alla scuola di Borknagar, Ihsahn e Solefald – band, quest’ultima, che in sede live approfitta proprio di molti membri degli In Vain come turnisti – gli In Vain propongono una musica estremamente variegata. La base essenziale è costituita in prevalenza da sonorità death che non di rado sfumano nel black melodico di stampo norvegese. Sono però sostanziosi gli innesti provenienti da un ventaglio stilistico decisamente più ampio. Sebbene una certa venatura folk che tanto mi ricordava i migliori Agalloch (Their Spirits Ride with the Wind) sembra che si sia via via essiccata sino a scomparire, ancora ben evidenti sono gli incisi progressive, la commistione di voci pulite e diversi stili di growl, l’inclinazione a rallentare le ritmiche più tese per favorire solenni stacchi epici. La disposizione ad utilizzare una intera sezione di ottoni, un violino, una viola e un violoncello, senza per questo abusarne, potrebbe essere considerato un ulteriore elemento tradizionale della band di Kristiansand.
Solemn è un titolo piuttosto azzeccato per il nuovo disco, il quinto della loro carriera, che succede al precedente con il compito di raddrizzare almeno parzialmente il timone. Intendiamoci, Currents non è un disco brutto ma i suoi brani si rivelano essere una sineddoche della loro altalenante carriera condensata in quaranta minuti di musica, dove a intuizioni brillantissime susseguono la noia e la vieta e monotona ripetizione di cose sentite già mille volte. Proprio per questo Currents è il disco più divisivo della loro carriera, contrariamente a The Latter Rain e Ænigma (2013) che vengono generalmente considerati, specialmente il secondo, i loro dischi più riusciti, e a Mantra che invece è valutato come una porcheria infinita.
Solemn è bello. Non credo sia un disco miracoloso, ma è un disco che funziona molto bene. I brani sono solidi, scorrono, e regalano momenti di indubbia epicità, come in Shadows Flap their Black Wings, pezzo che non sfigurerebbe per niente, ad esempio, proprio nell’ultimo disco dei Borknagar. La ritrovata ispirazione si traduce anche nella capacità di tornare a proporre melodie decisamente affascinanti nel bel mezzo della furia sonora (To the Gallows), e di esprimere una varietà maggiore delle strutture musicali senza per questo complicarle in modo innecessario: Seasons of Unrest ne è un ottimo esempio, con una atmosferica sezione centrale guidata dal suono del sax.
Il pregevole risultato di un lavoro di composizione durato più di un lustro si sente soprattutto nell’ottimo bilanciamento tra le parti più spinte e quelle più melodiche e corali. Brani come Where the Winds Meet o Beyond the Pale riescono fondamentalmente a sposare parti in puro blast beat facendole poi virare, in modo naturalissimo, in tutt’altri territori musicali, grazie soprattutto al continuo dialogo tra le voci dei due cantanti. I fan di vecchia data riconosceranno, almeno questo è il mio caso, alcune delle soluzioni migliori già presenti nel disco d’esordio, The Latter Rain, e che qui vengono riproposte in altra chiave senza per questo depotenziarne l’effetto.
Una sensazione di epicità crescente si ravvisa specialmente verso fine del disco. Watch me on the Mountain (non ho idea se il titolo e il testo della canzone facciano riferimento all’omonimo libro dedicato alla vita del leader apache Geronimo che, di fatto non viene menzionato), sebbene non rientri nel terzetto di singoli pubblicati durante la fase promozionale prima della release ufficiale di Solemn, è la degna chiusura di un bel disco, un brano che mescola suoni pesanti e metallici con cori grandiosi, ma è attraversato da un sentimento agrodolce, cupo ma allo stesso tempo increspato da venature di speranza per un futuro migliore. (Bartolo da Sassoferrato)



BUBUBU. Io ogni tanto rileggo la recensione mentre li ascolto, e di solito mi vengono i crampi dalle risate.
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