Christus Hypercubus: del ritorno dei MESSIAH non convincono né il titolo e né la musica

I Messiah sono tornati dopo quattro anni e sfortunatamente le cose non sono andate nella maniera sperata. Sono gli stessi che debuttarono nel 1986 col thrasheggiante e formativo Hymn to Abramelin e l’anno dopo tirarono fuori Extreme Cold Weather, con quell’incredibile copertina raffigurante l’orso bianco e quei titoli con dedica speciale a Giovanni Paolo II e Madre Teresa. Gli stessi che si ritrovarono a suonare con il leader dei Therion, Christofer Johnsson. Tutte cose accadute una vita fa: fra quei capitoli della carriera musicale degli svizzeri e i tempi recenti intercorre un abisso. Inutile sperare di riabbracciare gli stessi Messiah, pertanto.

Trovo la discografia degli elvetici dignitosissima fino ad Underground e, mio malgrado, ammetto di non aver seguito con attenzione le dinamiche del loro ritorno in scena. E così mi è toccato anche rispolverare l’album precedente, Fracmont, che, a dir la verità, preferisco e non di poco alla loro ultima fatica. Cerchiamo quindi di comprendere i perché di codesto passo indietro.

Il problema dei Messiah è che esaltano quando esprimono quei riffoni doom/death vecchia scuola. Potrei affermare che dovrebbero puntare solo su quelli, magari aggiungendo, di tanto in tanto, due accrocchi in croce con l’organo o con qualunque cosa possa contestualizzare l’album in una circostanza catecumenale. Il resto è tutto quanto un surplus e un sovrapporsi di elementi a disturbo dell’opera, fra ritornelli incalzanti alla Rotting Christ, voci post-prodotte e suoni cupi alla Triptykon che, in controtendenza alla natura melodica, stratificata e sfacciatamente ariosa delle composizioni, affossano un po’ tutto. La velocità di Once Upon a Time – Nothing in un certo senso limita i danni grazie alla relativa semplicità di fondo. Vuoi fare colpo alla prima botta? Non incasinare le canzoni: è una roba che insegnano dai tempi dei tempi. Non è una questione di preferire la velocità al mid-tempo, attenzione. Lo stesso dicasi per Centipede Bite, che va liscia come l’olio perché gioca rasoterra. Un altro brano che ho apprezzato è Speed Sucker Romance: tolti i ripetuti giochini di parole nelle liriche, si ha a che fare con un buon doom metal atmosferico e il problema, semmai, è che questo stile non si ripete altrove.

Christus Hypercubus è un ritorno con le idee poco chiare: metà scaletta è un ibrido fra doom e thrash, energico e diretto, che non si sposa per niente con i suoni modernissimi fornit da V.O. Pulver, produttore che con buona probabilità ricorderete per essere il leader dei Gurd. L’altra metà della scaletta ricerca con ossessività i ritornelli e l’effetto immediato, sortendo risultati positivi soprattutto con la seconda metà di The Venus Baroness, forse l’apice dell’intero disco.

A fronte di tutto questo e di un avvio assolutamente incerto, Christus Hypercubus e la sua natura pomposa e desiderosa di strafare non mi convincono affatto. Fracmont del 2020 dal canto suo era andato in un’opposta direzione, con suoni vecchia scuola e quell’Andy Kaina (defunto nel 2022 per un attacco cardiaco) per un’ultimissima volta al microfono, quasi un emulo di Martin Schirenc dei Pungent Stench. Il nuovo cantante Marcus Seebach è allo stesso tempo il fattore che dona ai Messiah una maggiore modernità e quello più fuori contesto. Spero sinceramente che alcuni dettagli saranno aggiustati nell’immediato futuro. (Marco Belardi)

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