Quando dicevo che volevo essere il tuo cane: KILLER KIN – st

Quanto mi mancasse questa merda non ne avete idea, il perché non la ascoltassi più da un casino di tempo non lo so nemmeno io, in realtà. Comunque adesso che ho rotto il ghiaccio, l’anno scorso in realtà, un occhio puntato sul rock’n’roll più demente ed energivoro in circolazione giuro che ce lo tengo sempre. E ve ne rendo conto. Poi se a voi non interessa son problemi vostri. La realtà è che gli Stooges sono stati forse gli unici che non avrebbero dovuto avere complessi di inferiorità nei confronti dei Sabbath e, se vi scorre sangue nelle vene, anche se mischiato ad altro, questo dovreste saperlo bene. E che tutto quell’universo di rock’n’roll fine ’60 e poi ’70 è urticante da fare male. Quindi oggi riprendo uno dei dischi che non avevo scoperto l’altr’anno, anche se mi ero ripromesso di aver chiuso coi recuperoni. Ma chi se ne frega. Questa tanto è roba che avrebbe suonato uguale quaranta, cinquant’anni fa e pure tra cinquant’anni. E poi sono troppo gasato per averli appena scoperti, per cui la taglio qui con le giustificazioni.

I Killer Kin, da New Haven, Connecticut, li ho scoperti grazie a un volantino virtuale intercettato su internet, di uno show oltreoceano che li vedeva assieme ai Tower e cazzo, sono già travolto. Io a quel concerto ci sarei andato, anzi, quasi quasi prendo l’aereo. L’immagine: la biker di un film di Russ Meyer incatena e schiavizza quattro rocker maschi che paiono usciti dagli anni ’70. La musica: un basso dritto e sporco, alla Lemmy, poi la chitarra suonata col tiro di Deniz Tek, poi la voce/cartavetrata di un invasato che si crede Rob Tyner nel momento in cui smette il THC e passa allo speed. Bene. È Mr. Dynamite e io sono già partito a dare testate al muro, felicissimo. Il secondo brano è On The Chain, comincia proprio col rumore delle catene ed è un concentrato perfetto di stoogesità perfida e sadica. Viene fuori che la biker vestita di pelle si chiama Chloe Rose ed è la chitarrista e compositrice principale, mentre l’invasato che si crede un incrocio tra Tyner e Iggy è Mattie Lea ed è un palestrato e ha la presenza fisica che pare lo zio di Andrew WK nel 1973. Il bassista motorheadiano si chiama Marco Carotenuto e io già gli voglio bene. L’album dei Killer Kin, omonimo, è pura demenza, cinquanta e passa anni di demenza r’n’r che ha tatuato STOOGES a lettere giganti sulle chiappe e sbava e scapoccia e suda. Non solo Stooges: MC5, New York Dolls, Radio Birdman, Rocket From the Tombs, Dead Boys, la miriade di band messe in piedi da Ron Asheton dopo il collasso di quello che restava degli Stooges. Tutta roba stupenda. Autodistruttiva. L’istinto di autoconservazione è un concetto del tutto superato. Non ti serve a un cazzo quando invece puoi continuare a sbattere la testa contro al muro con questa roba qui a darti il tempo a un volume esagerato.

Un brano come Hound Howl ti fa sudare mani e piedi, un rock’n’roll a perdifiato, high energy, come dicevano venti e passa anni fa. Mattia Lea ormai ha le catene al collo e abbaia tutto eccitato. Forse si piscia anche addosso. Poi c’è quel pianoforte dal brano prima e pure in quelli dopo, quella nota singola ripetuta, quella nota lì, quella di I Wanna Be Your Dog. Chiunque l’abbia suonata nel ’69 è il pianista più influente della storia della musica, se lo chiedete a me. Una specie di goccia cinese. No, meglio, un trigger da ipnosi, la senti e non capisci più perché non dai del tutto fondo agli istinti animali. Sul maelstrom sadico di Needles and Knives l’urlo devastante (“YOU FEEL ALRIGHT, I FEEL NON SO CHE CAZZO STIA DICENDO”) è totalmente fuori controllo. Io ormai la testa me la sto quasi per rompere e vedo Ron Asheton incidere con un serramanico una croce di ferro sul legno della sua bara, compiaciuto. Gruppo migliore del mondo e l’album… com’è che si dice? Come se fosse (stato) in playlist, l’altr’anno. (Lorenzo Centini)

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