De bello saxone: la tetra storia del Pinguino di Benevento

Così a naso, se non tutti, almeno la maggior parte di quelli che scrivono sul nostro pregiato sito registrano i propri natali in piccoli centri abitati. Sebbene non possiamo più, ahimè, definirci un “blog di terroni”, avendo assoldato ancor più pregiate penne al di sopra della Linea Gotica e nonostante molti di noi si siano successivamente trasferiti nelle metropoli, nessuno, credo, potrà toglierci l’appellativo di “blog di provincia”.

I figli di alcuni di noi sicuramente avranno molte più opportunità e possibilità dei rispettivi padri, però scommetto che perderanno qualcosa di rilevante per la loro crescita interiore, i personaggi della provincia italiana, quei soggetti, cioè, che hanno come terreno di coltura unico ed esclusivo il fertile e variopinto contesto sociale e culturale che si ritrova lontano dai ritmi delle grandi città. Dato per assunto che la miseria umana è più o meno sempre la stessa, col passare tempo cambiano radicalmente le modalità di espressione e manifestazione della stessa e, dato pure che apprezzo il fatto di poter dimenticare le cose in serenità, tanto le recupero al primo click, mi trovo (sintomo di una precoce arteriosclerosi o più banale rincoglionimento?) a ricordare sempre più spesso e in modo totalmente involontario certi soggetti che ho incrociato sulla mia strada. Insomma, mi metto ad ascoltare Hell, Fire and Damnation e, mentre mi dico quello che mi dico ogni volta che ascolto un nuovo disco dei Saxon, mi passa davanti un flashback assurdo.

Chissà che fine ha fatto il Pinguino.

Per un paio di minuti sono rimasto come stordito dalla mia stessa domanda, mentre la mente vagava riesumando le gesta di questo inimitabile personaggio che ho frequentato qualcosa come trent’anni fa. Così, presto giungo alla conclusione che i tempi siano sufficientemente maturi acciocché vi parli di lui: il Pinguino. Una roba, appunto, di trent’anni fa, quando mi affaccio al metallo e, pur non potendo usufruire degli insegnamenti di un vero e proprio mentore, mi imbatto nella comunità metallara locale, congrega assai scarsa e sparuta di soggetti che ve li raccomando fortemente. Ma quello era ciò che aveva da offrire il segmento che il caso o una certa affinità in fieri decisero che dovessi esplorare da lì in avanti e, probabilmente, per il resto della mia vita. Tutta gente che ho perso di vista e che, tranne un paio di tizi ai quali ero parecchio legato, ho proprio rimosso. Ma il cervello è tutt’ora un organo pressoché misterioso e ci fa spesso dei bruttissimi scherzi.

Un bel pezzo di merda il Pinguino. Insistette a venire a casa dicendo che voleva vedere la mia collezione di dischi. Non posso far salire su ‘sto soggetto, mi dissi all’epoca. Un po’ mi vergognavo della maggior parte delle mie frequentazioni, lo ammetto. Vorrei vedere voi a presentare a vostra madre un tizio che assomiglia pari pari a Danny DeVito nel celeberrimo ritorno di Tim Burton e dire: ciao mamma, ti presento IL MIO AMICO. No, non ebbi quel coraggio, quindi lo invitai a salire un giorno che a casa non c’era nessuno. Non ero uno che andava alla ricerca di reietti, e lo spirito da crocerossino poteva al limite essere una grappa svizzera, per quanto mi riguardava. Quindi furono proprio le abili arti dell’Oswald Cobblepot sannita a fregarmi. In pratica, con quell’apertura a venire a casa mia me lo accollai come una sanguisuga. Quel giorno, indisturbato, rubò la mia preziosissima copia di Wheels of Steel. Si capirà un po’ meglio adesso come funzionano le giunzioni sinaptiche del sottoscritto. Vedevo che ci girava troppo intorno, mi chiese pure se glielo potessi prestare ma rifiutai. Mi sono sempre rifiutato di prestare le mie cose per principio. Se proprio insisti te lo vado a comprare, ma non chiedermi di prestartelo, la frase che dico sempre in queste situazioni per togliermi dall’imbarazzo. Me ne accorsi tempo dopo e troppo tardi.

Basso, grasso, informe. Sarà stato al massimo un metro e cinquanta. Un cubo di malvagità. Uno degli esseri più brutti che abbia mai incontrato. Indossava solo abiti neri di pelle, come da disciplinare, una palandrana anch’essa di pelle nera che gli cadeva fino ai piedi, catenazze di ferro, borchie e un anello per ogni dito. Anche ai pollici. Era dotato di cinque dita, non tre come l’immaginazione vi starà, probabilmente, suggerendo. Non aveva malformazioni particolari, ora che ci penso. Due manine piccole e paffute, unghie lunghe, affilate, curatissime e cinque anelli per mano che raffiguravano draghi, gargoyles, demoni o vattelappesca, infilate a forza tra le dita grassocce strabordanti adipe. Capelli lunghi e neri come il catrame, dritti come spaghetti. Il naso: come quello del Pinguino di Batman. Occhialoni che parevano due televisori a supporto di due occhi piccoli e blasfemi. Blu, come le profondità oceaniche ove dimorano gli abitatori del profondo, ma allo stesso tempo sfocati e acquosi, cangianti al mutar del suo precario stato d’animo. Occhi scrutatori, frementi e mai fermi, che si muovevano frenetici, obliqui e umidi.

Mi immaginavo che ogni notte li bagnasse con l’antico unguento che consentiva di vedere e riconoscere le streghe ovunque esse si trovassero. Mi chiedo tutt’ora quale delle antiche formule fosse solito utilizzare. Forse quella ottenuta da una miscela in parti uguali di fiele di gatto nero, gallina nera e pelle di serpente? Grasso vegetale, belladonna, datura stramonio, aconito napello e tre gocce di liscivia? Oppio, cicuta, papavero rosso, papavero nero, lattuga, portulaca e bacche di solano sonnifero? Oppure grasso di bambino, aconito, solano, sedano e fuliggine? Non lo sapremo mai. Ovviamente era appassionato di black metal e dell’arte del maleficio. Si parlava del De nuce beneventana maga di Pietro Piperno, dei riti settennali di Guardia Sanframondi, si bestemmiava San Barbato, colui che per la leggenda abbatté l’albero magico (il noce) e che per la Storia fu il vescovo che convertì i Longobardi alla fede cattolica. Financo, con occhi roteanti, manine frementi e sguardo voluttuoso, si ricordava l’osculum obscenum (il bacio all’orifizio anale di Satana), il rituale con cui le streghe davano inizio ai sabba girando in senso antiorario, cioè non seguendo il cammino del sole a dimostrazione di non accettare l’ordine prestabilito delle cose e del creato.

Non lo frequentai per più di qualche mese perché diventava inquietante in modo sempre crescente. L’ultimo ricordo che ho del Pinguino fu quella volta in cui mi disse che la notte successiva, in contrada Piano Cappelle, in una grossa casa abbandonata che si poteva facilmente individuare perché sita nei pressi della via principale, una zona che conoscevo benissimo, si sarebbe svolto “un rito nero” a cui AVREI DOVUTO partecipare. Alla mia risata di scherno rispose con quel suo sguardo obliquo e tagliente come una lama. Intuii qualcosa, cioè che non stava cazzeggiando per niente. Alcuni dei luoghi dove le storie raccontano si siano svolti dei riti satanici nel beneventano sono, tra gli altri, lo stretto di Barba, dove apparivano fuochi notturni, magari banali accensioni dei minerali di zolfo provenienti da vecchie miniere della zona, oppure la stessa contrada Piano Cappelle, dove alcuni ritengono si trovasse il famoso noce e dove testimoni dicono di aver visto strane figure incappucciate aggirarsi in processioni notturne, magari scherzi di qualche burlone.

Ovviamente mi guardai bene la notte successiva dall’andare a verificare di persona. Sicuramente incuriosito, vi passai appositamente qualche tempo dopo in pieno giorno, al sicuro nella luce calda dell’estate sannita, entrai da solo e salii al secondo piano dove effettivamente trovai strane strisce nere sul muro, ma non pentacoli o altri simboli noti o riconoscibili, e uno straccio appeso a una corda al centro della stanza, laddove anticamente doveva esserci un lampadario, imbevuto di qualche liquido evidentemente rosso ora essiccato che aveva gocciolato in terra creando una grossa macchia, nonché delle pagine di un libro bruciato. Dopo qualche tempo vi ripassai davanti di notte, questa volta per caso; fu più forte di me non evitare di girare lo sguardo e fermarmi ad osservare da lontano: da quelle imposte cadenti baluginava la luce di quello che con tutta evidenza era un fuoco acceso all’interno della casa diroccata. Senza farmi troppe domande, con un brivido che mi correva lungo la schiena, corsi via. Ora, senza voler scomodare il culto Sabazio-Dioniso, Simon mago e il Malleus maleficarum di Sprenger e Institoris o altre amenità, dico serenamente che non ho mai creduto in certe cose e non sono facilmente impressionabile, ma allo stesso tempo ho percepito di dovermi tenere bene alla larga da certe situazioni, non si sa mai.

Dopo quella notte non vidi mai più il Pinguino e non ho mai avuto il coraggio di chiedergli indietro la mia copia di Wheels of Steel. (Charles)

5 commenti

  • Anche qui giravano personaggi inquietanti. Nell’oscura provincia piemontese dimenticata da dio… Certo Milano o Somma Lombardo erano peggio… sempre evitati come la peste, come ti capisco.

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  • Marco Armellino

    Che saudade dolcemarcia questi post: gli “amici” che ti rubano le cose in casa … che ricordi! Le “case abbandonate”. I discorsi notturni semialcolici: “eh, certo che il satanismo è la più alta forma di umanesimo” invece di uscire con le ragazze. Gli scherzosissimi e simpatici atti vandalici (i migliori danni della nostra vita, come per me canterà sempre Zero). I soggettoni indimenticabili. Cose che ritieni di aver lasciato indietro, perché sei maturato, sei cresciuto, anzi, forse già allora eri più maturo degli altri, certo, eri lì solo per la compagnia. Tutte convinzioni che crollano quando sei a mangiare una pizza con gli amici del partner/fidanzata/moglie e si parla di qualcosa che li fa inorridire o scandalizza. E a te invece fa lacrimare dal ridere, e mentre diventi paonazzo cercando di trattenerti, e ricevi gomitate di avvertimento, ti rendi conto che no, a te non sarà più concesso di essere come quelle persone alla vaniglia. Sei ormai segnato. Sei ancora lì nella casa abbandonata a fare il cazzone.

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  • A me viene in mente il Pinguino Burzum.

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  • Mia moglie è di quelle parti lì, devo chiederle, ma di sicuro quel pinguino non lo conosce…

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  • Ho abitato a Benevento per tutto il 1992 e ho collaborato anche con un giornale locale scrivendo recensioni di dischi, ho conosciuto anche molti dei metallari locali ma uno così non me lo ricordo per nulla, magari usciva solo la notte….

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