Un falò con Budda: VIPASSI – Lightless

Bene ma non benissimo. I Vipassi, band frutto della collaborazione tra membri dei Ne Obliviscaris e dei Black Lava, arrivano sul mercato con questo primo full dopo ben otto anni di silenzio, dato che il loro primo EP, Śūnyatā, venne pubblicato prima in modo indipendente nel 2016 per poi, l’anno seguente, essere rieditato nuovamente da Seasons of Mist. Quest’ultima si occupa infatti anche di questa nuova uscita, e Lightless può quindi godere dei benefici di quella che possiamo considerare una delle etichette di punta del metal contemporaneo.

I Vipassi sono dediti a un metal di stampo progressivo, totalmente strumentale, che riesce a mescolare con sapienza il caos tumultuoso del death tecnico con interludi sereni e melodici. Questa era già la cifra stilistica di Śūnyatā, a dirla tutta, e, sebbene la proposta musicale non sia mutata dopo otto anni, questa è evidentemente maturata. I brani di Lightless sono infatti più raffinati, e si nota anche una certa dose di audacia nello sfruttare sonorità e variazioni che non appartengono in senso stretto al metallo pesante.

Il concept dietro a questo disco dei Vipassi – nome che indica il ventiduesimo Buddha secondo il testo tradizionale del Buddhavamsa – è quello di un viaggio attraverso i distinti territori delle emozioni dell’umanità. È quindi più che normale che i paesaggi sonori ci trascinino continuamente nell’ascolto alternando le luci e le ombre del sentire umano. Questa caratteristica si evidenzia già con l’opener omonima del disco, che introduce all’ascolto con un approccio leggere, spazioso, e dove si può apprezzare le particolari sonorità del basso fretless. La costruzione del pezzo è ben congegnata, la musica si àncora successivamente proprio alla sezione ritmica e a me sembra di ravvisare molto del concetto musicale dei Meshuggah nei Vipassi, specialmente se si fa attenzione a come costruiscono le variazioni strumentali attorno a un motivo centrale.

Questa è una caratteristica di tutto il nuovo disco, e la capacità del quartetto di fondere sezioni musicali molto differenti pur mantenendo un filo tematico coerente giova sicuramente alla formula proposta. Più che sulla competenza e perizia tecnica individuali, che pur son presenti e si sente, i Vipassi preferiscono costruire le canzoni sulla sinergia tra i vari strumenti. Tanto la ferocia dei riff più asfissianti quanto la delicatezza dei passaggi più contemplativi esistono quindi in forza di un notevole lavoro in fase di composizione, che riesce a raccordare un vivace lavoro alle chitarre con le linee ritmiche di basso e batteria.

L’album, basandosi su questa ricetta, prova a proporre una gamma diversificata di composizioni, dove l’approccio più tradizionalmente melodico si alterna a dissonanze più intrepide. L’idea è buona, visto che parliamo di un disco strumentale che raggiunge quasi l’ora di durata. Sfortunatamente la realizzazione di questa buona idea riesce solamente in parte. Personalmente ho trovato alcune composizioni un po’ troppo prolisse, di difficile digestione, ma va detto che questo è un problema che affligge parecchie band che si dedicano allo stesso genere. Morningstar è un pezzo veramente palloso. Anche la seguente Shapshu non lascia ricordi particolarmente incisivi. Phainesthai al contrario penso sia uno dei pezzi più riusciti di tutto il disco, proprio perché riesce là dove le altre falliscono: diversificare la proposta, giocare con più livelli musicali, proporre una evoluzione strutturale non scontata e gestire frasi musicali eterogenee e pause in modo più concreto.

Lightless però, di brani così, ne include solo tre. Il brano omonimo, Phainesthai e Ruination Glow. Non voglio dire che i Vipassi non abbiano buone idee, ma mi sono risultate un po’ confuse. Tre pezzi di spessore in un disco di otto brani sono un po’ pochini. L’esordio, quindi, bene ma non benissimo. Staremo a vedere con il secondo. (Bartolo da Sassoferrato)

4 commenti

  • Avatar di Schnell

    Mi attirerò le ire funeste di molti con questo commento, ma appena leggo “Meshuggah” in una recensione mi parte subito uno sbadiglio e la voglia irrefrenabile di ascoltare la cosa più becera e ignorante possibile che mi capiti a portata di mano.

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    • Avatar di Bartolo da Sassoferrato

      Non dico che suonano come i Meshuggah. Il sound è molto diverso. Dico solamente che si ravvisa molto dei Meshuggah nella costruzione delle ritmiche.
      Personalmente non stravedo per gli svedesi. Ma c’è da dire che Nothing rimane un disco monumentale, e uno dei miei preferiti. Ci vedo proprio un intero concetto musicale dietro quel disco, per me rimasto totalmente insuperato. Il resto è una variazione sul tema.

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    • Avatar di pepato

      “la voglia irrefrenabile di ascoltare la cosa più becera e ignorante possibile”… quindi i Meshuggah 😛

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  • Avatar di il dioscuro

    Una parola sulla copertina che ha a che fare più con il culo che con il Buddha.

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