La finestra sul porcile: THANKSGIVING
Quindici anni fa, o qualcosa in più, Quentin Tarantino era il regista più in voga in circolazione, forte dello smisurato successo del doppio Kill Bill. Nel fare tabula rasa delle ambientazioni temporali e stilistiche adottate nei Novanta, il regista originario del Tennessee creava una nuova formula cui il cinema si sarebbe ispirato per molto tempo. Inutile dirvi quanto rimasi deluso da quella mezza cacatina di Grindhouse – A prova di morte. Che non riproponeva i dialoghi prorompenti tipici del regista e neppure la consueta brillantezza, “accontentandoci” con un atroce scontro frontale fra veicoli e un bell’inseguimento verso il finale. La versione italiana del film differiva da quella americana per il fatto che A prova di morte era stato separato da Planet Terror, il lungometraggio diretto dall’amico Robert Rodriguez. Unirli, oltre a certificare il flop commerciale dell’operazione, avrebbe indotto al suicidio metà dei presenti in sala.
Separarli non solo mortificò lo spirito originario di Grindhouse, ovvero riportare il tutto a quelle proiezioni sotterranee di horror disturbanti, quasi proibiti. Mise in dubbio la necessità di quei trailer pubblicitari creati ad hoc, detta alla Renzi, affinché Grindhouse davvero assumesse le sembianze d’una di quelle proiezioni in voga negli Stati Uniti degli anni Settanta e Ottanta. I trailer erano Werewolf Women of the SS, con Nicholas Cage nei panni dello stregone Fu Manchu, Don’t, e i più fortunati Machete e Thanksgiving. Erano goduriosi spezzoni d’un paio di minuti ciascuno che annunciavano l’imminente uscita di film fittizi.

Machete divenne un film vero e proprio tre anni più tardi, e fu capace di guardare oltre lo spirito originario del fracassonissimo trailer. Il cast era ricco di lussureggianti comprimari che andavano da Robert DeNiro a Steven Seagal passando per Jeff Fahey e Don Johnson, e con Jessica Alba, Michelle Rodriguez e Lindsay Lohan a rafforzare il comparto ultrafregne. Il cameo del solito Tom Savini era sottinteso. Il sequel non fu all’altezza e per fortuna Robert Rodriguez si fermò lì, anche perché, al termine del secondo Machete, veniva annunciato un terzo capitolo dai tratti abominevoli.
Puntai tutto su Thanksgiving diretto da Eli Roth, che, a breve, si sarebbe addentrato nell’universo tarantiniano prendendo le forme dell’Orso Ebreo di Bastardi senza gloria, e dirigendo il cecchinaro cortometraggio in esso insito. Eli Roth quel film non lo fece mai. Nel trailer vedevamo lame che spuntavano da sotto un trampolino elastico, e dritte in mezzo alle cosce della cheerleader; parate di paese finite in grandguignolesche decapitazioni; sbirri accovacciati su una pozza di sangue che toccavano il liquido accanto al cadavere mozzato, e, perplessi, esclamavano it’s blood. Indimenticabile il cameo di Michael Biehn in quel segmento. Thanksgiving era un delirio totale e meritava di lievitare come già accaduto a Machete, ma cosa raccontare per un’ora e mezzo? Si trattava, in fin dei conti, di una grottesca fotografia del filone slasher con il titolo di Halloween preso, mutato e messo lì alla mercé di un killer che sostituiva una persona al tacchino, la cuoceva e la faceva apparire in tavola davanti a un prete in preda ai conati.
Per il regista di Cabin Fever, Hostel e, ahimé, Green Inferno si trattava solo di prendere tempo. Capire che cosa raccontare rischiava d’essere un complicato accanimento terapeutico. Thanksgiving necessitava del solo spirito giusto.

Naturalmente noi di Metal Skunk siamo andati a vederlo al cinema, ben consapevoli che fra sei mesi abbondanti si sarebbe tramutato in monnezza riversata su una piattaforma qualsiasi. Non solo, abbiamo scelto come cornice uno di quei multisala denominati luxury, che, a fianco di tale denominazione, offrono i seguenti optional:
- Parcheggio con sabbione residuo dell’alluvione del due novembre
- Ristorante adiacente chiuso e abbandonato
- Bancone bar separato dal bancone ristorazione con cassa unica dal lato del secondo
- Personale rigorosamente ridotto
- Casse solo automatiche
- Poltroncine in pelle reclinabili con tavolini in legno tutti scorticati
- Biglietto maggiorato in quanto luxury
- Tizia col carrellino degli snack che entra in sala tre minuti prima dell’intervallo
Luxury un par di seghe.
Thanksgiving ha poco cast. Risalta il nome di Patrick Dempsey, il fulminatore di milf nella serie Grey’s Anatomy, oltre a quello di Gina Gershon. Gli altri non so in tutta onestà chi cazzo siano. Il primo quarto d’ora, amici, è quanto di meglio Eli Roth abbia mai diretto: una lunghissima sequenza, lenta e in crescendo, che ci accompagna all’apertura di un centro commerciale per un black friday – anticipato in coincidenza col giorno del ringraziamento – in cui succede letteralmente di tutto. Ci scappano i morti e i filmati virali sui social, e, un anno più tardi, come da consuetudine degli slasher, mentre tutti sono a cucinare il tacchino, i cittadini di Plymouth ricominciano a cadere come mosche. Non in maniera casuale, stavolta.

Il regista Eli Roth
Passato quel quarto d’ora Thanksgiving è semplicemente uno slasher di pregevole fattura che s’impegna a dirottare i sospetti dello spettatore alla maniera di Scream, finendo poi, in qualche maniera, col plagiarne la saga – no, non è doppio l’assassino, ma potreste arrivarci facilmente – concedendosi anche una grossolana citazione nei riguardi di Nope.
Non aspettatevi lo stesso tono goliardico da commedia horror del vecchio trailer. Perché qui non c’è, fuorché in quel devastato centro commerciale. Non c’è nemmeno laddove si tenta pari pari di ripresentarne le scene, ad esempio quella della cottura, gloriosamente ampliata, o quella del trampolino, qui nettamente inferiore. Eppure Thanksgiving ripropone tutti i cliché del cinema di Eli Roth (su tutti i protagonisti catturati e torturati in qualche maniera dai villain di turno) e in nessun frangente delude. Soltanto che Thanksgiving erano due minuti di goduria fake talmente belli che l’hype, le attese, il minimo sindacale da raggiungere, partivano irraggiungibili già all’annuncio di questo film. (Marco Belardi)

Ma Gina Gerson non è una pornostar?
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Facendo ogni giorno la stessa strada, Chi non cambia direzione, Chi non rischia di cambiare i colori dei propri vestiti, Chi non parla con gli sconosciuti. Chi evita le passioni muore lentamente, e uno sbadiglio può essere sostituito da un sorriso.
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