Avere vent’anni: DREAM THEATER – Train of Thought

Come per ogni disco dei Dream Theater uscito dopo Falling into Infinity, mi avvicinai a Train of Thought con sospetto e pieno di pregiudizi, salvo poi ricredermi perché Scenes from a Memory e Six Degrees of Inner Turbulence erano state ottime uscite. Arrivò la fine del 2003 e vidi la copertina di Train of Thought, una fotocomposizione di Jerry Uelsmann, di un bianco e nero profondo e metafisico, che poteva significare soltanto una cosa: un deciso spostamento verso il metal, peraltro già iniziato in alcuni momenti dell’album che lo precedeva. La formazione dei Dream Theater era quella classica e longeva che abbiamo visto all’opera per anni e la produzione era a cura di Portnoy e Petrucci, i quali si sapeva bene quanto avessero in animo di andare giù più pesanti di prima. Queste buone premesse vennero mantenute: il primo brano As I Am parte con un accattivante arpeggio di chitarra distorta e basso saturo, alla partenza il suono si rivela scurissimo, le accordature sono ribassate, il groove è accattivante, gli assoli di Petrucci in alcuni passaggi sono spinti al limite del fisicamente raggiungibile: ci troviamo in quello che potremmo definire il periodo thrash dei Dream Theater.

 

Il disco continua così, denso di note e di variazioni, pieno di energia, a parte la momentanea lamentosità del duetto Honor Thy FatherVacant, che accettiamo come irrinunciabile americanata del gruppo, per poi proseguire con la gustosa Stream of Consciuosness, strumentale e variopinta che, intuiamo, vorrebbe riportarci ai tempi andati di Metropolis pt. 1, per poi concludere sulla più severa In the Name of God, che poco dopo la metà contiene un ottimo saggio melodico – ritmico di Myung e Petrucci. Bel disco, buon disco dove prevaleva già il mestiere sull’ispirazione, che però è da tenersi stretto in quanto sarebbe stato l’ultima grande uscita dei Dream Theater. Da lì a poco, difatti, divennero una specie di lontano ricordo di se stessi e la recente scomparsa dell’incompreso Charlie Dominici non fa che ricordarci quanto grandi furono i loro esordi e quanto siano irrisorie le cascate sonore che sono costretti a rifilarci oggi. (Stefano Mazza)

6 commenti

  • Avatar di Bonzo79

    A me personalmente fa schifissimo. Pestone e senz’anima. Ho smesso di seguirli se non a spizzichi e bocconi, dopo. Comunque, A dramatic turn of events è bellissimo.

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    • Avatar di Valter60

      Le opinioni si rispettano tutte a prescindere. A me piacciono sempre,un po’ di più certe volte e altre meno,ma smettere di seguirli……l’unica “nota”stonata è sempre il cantante purtroppo

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  • Avatar di fabio rossi

    Meglio in versione demo.

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  • Avatar di Sguers

    Al primo ascolto non fu facile da digerire ma successivamente è diventato uno dei miei lavori preferiti. Duro come non mai ma da ascoltare più volte nonché rivalutare.

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  • Avatar di LuKe B

    ottimo disco soprattutto chi come me della vecchia guardia non ha trovato nulla di ascoltabile nell’ era mangini che fortunatamente è finita. vedremo cosa tireranno fuori ora, anche se a parte l’hype per Portnoy di nuovo nella band, l’errore maggiore è aspettarsi la band di 20 o 15 anni fa, sia dal vivo che in studio. Vedremo…

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