La lista della spesa di Griffar: WEHMUT, STYGIAN LOVE
I: Herbst è il secondo album della one-man band tedesca WEHMUT, della quale vi ho già parlato in occasione del debutto intitolato Catharsis (per amor di completezza esiste anche uno split CD-r autoprodotto in sole 50 copie con i Skognatt). Rispetto a Catharsis la musica non ha subito variazioni significative, il che dal mio punto di vista è un bene: partendo da una base lenta ed angosciante in stile depressive black metal il ragazzo svaria, va dove lo porta il cuore e questo, nel risultato finale, si sente tutto.
Johannes Rieß, factotum del progetto, non inventa nulla; ma, come ho più volte ribadito, questo non è un ostacolo nel comporre musica pregiata. In questo suo secondo album riscontro tastiere più presenti rispetto al passato, pur se tenute in prevalenza come accompagnamento, nelle retrovie, sicché non predominino e non diventino troppo invadenti; solo quando viene ritenuto necessario occupano più spazio, ma non succede di frequente. Ascolto il primo brano Ode an den Herbst e mi accorgo che il suo depressive black malinconico e pesante, sebbene assai melodico, si sta ibridando con connotati tipici dell’atmospheric/post-black di scuola Fen/Arx Atrata. Ciò sta facendo un gran bene ai Wehmut, perché l’ascolto dei quattro brani presenti in I: Herbst è gradevolissimo, i riff sono squisiti, le melodie malinconiche come passeggiare in un bosco d’autunno sulle foglie morte mentre le ultime si staccano a poco a poco dagli alberi cadendo infine a terra esauste. Anche questo è un disco bellissimo; non c’è più limite a quanti dischi stupendi escono, molti brividi vi coglieranno.
Non è da meno neanche il terzo album dei belgi STYGIAN LOVE. Ghost Light è del giugno di quest’anno e segue a breve e brevissima distanza Solace…(15 agosto 2022) e Flowers Fade (3 gennaio 2023) e nuovamente ci troviamo al cospetto di un ibrido che ingloba tra le sue sinuose spire elementi tra i più disparati, siano essi catalogabili come atmospheric black, doom, sludge, death, post-metal e via discorrendo. Ne consegue che i pezzi sono molto vari, la voce si sdoppia ma in prevalenza segue un’impostazione screaming tipica del black; potremo scatenarci con parti in up-tempo sfrenate e poi accoccolarci sorseggiando una grappa di Arneis quando i pezzi rallentano avvolgendoci in un soffice mantello di romanticismo, perché la qualità di tutti i pezzi è decisamente elevata. Tra tutti si fa preferire – non di molto – Pellucid, una sicura chicca in grado di trascinarvi curiosi all’ascolto dell’intero disco (e anche dei suoi due predecessori, dei quali non ho parlato a tempo debito per la classica e cronica mancanza di tempo). A voi, ora.
Continuate a girare da queste parti, ho ancora molte cose da presentarvi. Per ora è tutto, gente! (Griffar)


