I King Gizzard & The Lizard Wizard si devono dare una calmata

Non ho dato sufficiente importanza ai King Gizzard & The Lizard Wizard fino alla pubblicazione di Infest the Rats’ Nest, indovinate perché. Fra le tante idee che erano passate per la testa di questi folli australiani, nel 2019 prese forma la pubblicazione di un album, l’ennesimo, che stavolta girasse intorno al thrash metal. E l’album era davvero una discreta botta di vita.

Una volta in una discussione li citai e l’interlocutore mi chiese: “Che suonano?”

Me ne rimasi in silenzio per qualche interminabile secondo.

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I King Gizzard & The Lizard Wizard sono una delle più pure dimostrazioni di passione per la musica al mondo. Hanno registrato gli album usando gli iPhone, gli hanno dato titoli (come Flying Microtonal Banana) che sarebbero stati imbarazzanti anche per il più sconosciuto album stoner ma, soprattutto, hanno in cassetta circa venticinque titoli ufficiali registrati in un decennio abbondante. Dieci fra questi sono usciti nelle sole annate 2017 e 2022, come se rispettivamente alla chitarra e al basso avessero due stakanovisti del calibro di Griffar e Centini. Alcuni fra questi contano sole due tracce ma, badate bene, di un quarto d’ora ciascuna. Ai King Gizzard & The Lizard Wizard la musica esce così, in continuazione, come fossero un rubinetto girato a fondo.

Il nuovo album ha un titolo che li batte tutti, preparatevi perché lo menzionerò una sola volta: PetroDragonic Apocalypse; or, Dawn of Eternal Night: An Annihilation of Planet Earth and the Beginning of Merciless Damnation. Finito, giuro.

Il thrash metal a cui i King Gizzard si sono appassionati non è affatto scomparso, e i nove minuti scarsi di Motor Spirit ce lo presentano in pompa magna; ma quel che interessa alla band è mettere in luce una lunga parte centrale, pesantissima, tutta incentrata su percussioni alla Danny Carey.

La cosa buffa è il netto contrasto fra l’album in oggetto e Omnium Gatherum, oppure Changes, entrambi appartenenti alla scorsa e prolifica annata. Il suono in quel caso esplorava delicatamente le care sonorità anni Settanta, pur non rinunciando a pezzi come Gaia, una specie di proto-thrash con voce ruvida e riffone alla Sacrifice dei Motorhead in bella mostra. L’album che sto recensendo e che mi rifiuto di nominare ancora è una legnata da cima a fondo, senza intermezzi per rifiatare. C’è pure un pezzo dedicato al bomber di Parma, Milan e Fiorentina, Alberto Gilardino, Gila Monster, che Bargone mi assicura sia riferito a “un animale che a lui piaceva da piccolo”. Io, che vado nei capanni di bird watching a fotografare rondini e martin pescatore, per fortuna non sono mai incocciato in niente del genere: è mostruoso e con buona probabilità ha dato il la’ agli ottusi e fetusi gusti musicali del mio collega.

Il Mostro di Gila

È bellissima, Gila Monster, è la traccia numero cinque e riporta alla stessa musica primordiale degli anni Ottanta che oggi mille gruppi stanno tributando, solo che i King Gizzard ci mettono il triplo dell’energia. C’è di tutto qua dentro, da una voce che a tratti rasenta il Chuck Billy più energico a pazzesche melodie vocali non troppo distanti da quelle che piacciono ai metallarini americani appassionati agli Avenged Sevenfold: arrivate a Witchcraft e in un certo senso capirete che, all’interno delle eterogenee trame dei King Gizzard, trovano in qualche modo un senso pure loro, così come il riffone alla Baroness e tutto quanto il resto.

PetroDragonic Apocalypse; or, Dawn of Eternal Night: An Annihilation of Planet Earth and the Beginning of Merciless Damnation (mi sono reso conto che la recensione stava venendo un po’ corta e ne ho approfittato) (per Belardi un pezzo sotto le quindici cartelle è troppo corto, ndbarg) è stato composto in sette giorni di numero, ed è comprensibile come un gruppo che pretende di mettere a segno ventiquattro o venticinque dischi abbia il limite di ragionare per jam session. Non c’è scarto, non c’è margine di scelta dei singoli, non ci sarà mai il pezzone che si staglia sulle altre. Ma tutto ciò ai King Gizzard non interessa affatto. La loro musica, anche senza una hit, sarà sempre divertente e imprevedibile al punto di volerne altra. Talvolta non indirizzata ai vostri gusti musicali, talvolta tarata e centrata esattamente sui vostri gusti musicali. E stavolta, come nel 2019, o forse un po’ meno, sembra che l’album l’abbiano composto per me. Ancora complimenti, ragazzi, ma datevi una calmata o un giorno quella dannata testa vi esploderà. (Marco Belardi)

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