IV: Sacrament, i WYTCH HAZEL nel mondo di Settimo Cielo

Hanno l’aria dei primi della classe, i Wytch Hazel. Dei secchioni, non solo a scuola, ma anche a catechismo. Non so se ne avete conosciuti di tipi così. Beh, già, pure io ho frequentato il catechismo. Che c’entra, mica ho aderito poi. Comunque parlo di quei tipi lì. Ce ne era una, quando bazzicavo l’auletta della parrocchia vicino casa, che evidentemente, oltre a non mancare mai ad una funzione domenicale da che era nata, doveva ripassare pure le lezioni del catechismo. Perfettamente sul pezzo. Ci credeva moltissimo, ovvio. Ma un particolare incrinava quell’immagine da personaggio da telefilm bigotto americano tipo Settimo Cielo: tendeva a presentarsi un po’ scosciata. Senza malizia, eh. Però stupiva. Si era ancora perfettamente ragazzini, sono passati venticinque anni buoni, potrei ricordare male.

Però, ecco, dove volevo arrivare… ah già, i Wytch Hazel. Sono un po’ come quella tipa lì. Nel senso: vagli a trovare una nota fuori posto, un suono non bel calibrato, una melodia armonizzata in maniera dubbia. No, manco un pelo di gatto sul bianco candore dell’abito della comunione. Io me la ricordo la prima comunione. Mi sentivo ridicolo, vestito così. Ero quello vestito peggio tra tutti i parenti che erano lì, per festeggiare cosa, poi. Mi dicevano che avrei dovuto sentire nientepopodimeno che il Salvatore in me, una volta ingerito il pezzettino di ostia consacrata. Onestamente ho dubitato da subito di aver percepito alcunché. Sarà per questo che poi non gli ho dato una seconda possibilità, alla fine, quando era l’ora di cresimarmi. Forse ero terrorizzato di dovermi vestire ancora da angioletto. Però al corso c’ero andato, e lì ricordo la compagnetta ligia ed assorta, ma dalla gonna piuttosto corta. I Wytch Hazel, dicevo, sono un po’ così. Attualmente, se c’è una scena christian rock o white metal non sono bene informato, ma, immaginando ci sia, dovrebbero esserne di sicuro il nome di punta. Non credo nemmeno ci marcino, che siano pose per ingraziarsi chissà che pubblico o vescovo. Ah, intesi, non ha nemmeno l’aria di essere una mascherata, anche se vestono anche loro come fossero alla prima comunione. Intesi, noi non avremmo nulla contro le mascherate, ma questi no, ci devono credere tantissimo (voi intanto, mi raccomando, tolleranza).

Tanto che sono arrivati al quarto album con una coerenza stilistica ineccepibile e un livello qualitativo piuttosto alto. IV: Sacrament arriva dopo due album di seguito che si erano già fatti piuttosto notare, II: Sojourn e III: Pentecost. Formula da retro-rock (quasi) perfetto. Wishbone Ash su tutti, per eleganza. Un po’ di tendenza narrativa tipo quei menestrelli dei Jethro Tull. Chitarre calde alla Thin Lizzy. Un po’ un vago senso epico tratto da certi Iron Maiden. A questo punto, se non li avete mai ascoltati, dovreste essere già piuttosto ingolositi. Beh, IV: Sacrament potrebbe anche sorprendervi. Se li conoscevate già, magari no, sapete benissimo cosa aspettarvi. Non un cedimento dottrinale, non un dubbio morale o musicale. Anzi, formalmente (suono, produzione) è anche un passo in avanti in termini di ortodossia e candore liturgico. Certo, a qualcuno potrebbe non bastare mica. Le canzoni sono tutte ineccepibili, ma anche difficilmente distinguibili l’una dall’altra. Come quando a messa, se ci siete mai andati, ti distraevi perché tanto ti sembrava sempre la stessa predica o preghiera.

Comunque, parlando di musica e basta, a me manca qualcosa. Molto semplice, suoni rock, hard rock, proto metal, hai un concept (posso usare un anglicismo?) del tutto votato a candore e purezza, è proprio un peccato non usare qualche elemento più nero per far risaltare meglio la luminosità del vostro bucato spirito. Prendete Deliver Us e confrontarla con la quasi omonima Deliver Us From Evil dei Warlord. In quest’ultima lo percepisci proprio che uno prega perché si caga sotto per l’incombere delle Tenebre. Quella dei Wytch Hazel (intesi, pezzo ineccepibile) ha la tensione di una recita natalizia. È un peccato, perché il rock retro ed archeologico è rimasto al palo negli ultimi anni. Chiaro non possa evolvere, per definizione, ma mancano interpreti ed emozioni tipo i Witchcraft dei primi tre dischi. Ai Wytch Hazel però non è che possiamo imputare peccati non loro. È solo uno spreco, nella mia umile opinione, disporre della migliore strumentazione analogica e di un suono di chitarra di quelli che non se ne sentono tanti in giro, saper scrivere una canzone cone si deve e non introdurre però neppure un piccolo dubbio o un po’ di tensione interiore. Come presentarsi al catechismo in minigonna e calze a rete, pretendendo di non avere manco l’intenzione di indurre in tentazione alcuno dei presenti. Prelati o no. (Lorenzo Centini)

Un commento

  • Avatar di Pepato

    Pentecost era bellissimo, ma i singoli di questo non mi hanno preso: come dici tu troppo pulitini, troppo molli, troppo autocompiaciuti. Sentirò l’album e spero di ricredermi.

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