Un disco per l’autunno prossimo: BLACK AUTUMN – The Harvest of our Bitter Labours

Vi è mai capitato di fissarvi ossessivamente con uno specifico album e non ascoltare, o ascoltare poco e niente, del resto della discografia di quel gruppo? A me è successo varie volte, e mi è successo anche con The Advent October, EP di questi Black Autumn risalente al 2010. Lo ascoltai pochissimo dopo l’uscita e me ne innamorai perdutamente. Un black atmosferico, soffice, dai tempi dilatati, tra Lustre, Burzum e il metal cascadico, ventidue minuti di dolce malinconia da ascoltare mentre la pioggia picchietta sulla finestra. Ce ne sono a migliaia di gruppi più o meno simili, ma pochissimi riescono a toccarti le corde più nascoste dell’animo come The Advent October.

Poi la mia tendenza alla procrastinazione ha preso il sopravvento. Dovrei ascoltare tutti gli album dei Black Autumn, mi dicevo, ma prima riascoltiamo The Advent October un’altra volta. E un’altra. E poi un’altra ancora. Così mi ritrovo nel 2023 a sentire questo The Harvest of our Bitter Labours senza aver ascoltato praticamente nient’altro a parte quell’EP di ormai tredici anni fa. Quest’ultimo è un buon disco, ma non ai livelli di quell’altro, anche se la sensibilità è rimasta quella. Il genere è uguale, non è cambiato praticamente nulla a parte alcune sfumature che ora mi farebbero aggiungere alla lista di influenze anche i Drudkh, che prima erano più sullo sfondo.

Il progetto è ancora tenuto in piedi dal solo Michael Krall, tedesco del Nord Reno – Vestfalia, che si occupa di tutti gli strumenti e anche della voce, quando c’è. Qui ad esempio, a parte l’ammaliante Silvery Clear and Slow, cantata in pulito da una donna, i pezzi sono quasi tutti strumentali, a differenza di quanto accadeva in The Advent October. Immagino che anche nel resto della discografia ci sia quest’alternanza. Discografia che poi è piuttosto vasta: sei full e dieci tra EP e split, il tutto in una ventina d’anni. Mi sto perdendo qualcosa a persistere nel non ascoltare tutto il resto della produzione dei Black Autumn? Probabilmente sì. Nonostante ciò, però, The Harvest of our Bitter Labours suona molto più scolastico rispetto a quel meraviglioso EP. Credo sia normale, dato che da allora sono passati tredici anni e un numero spropositato di uscite. Comunque fare uscire un disco del genere a fine maggio è una mossa sconsiderata, perché ascoltare questo tipo di musica mentre si boccheggia dal caldo non ha senso. Lasciate arrivare quantomeno le prime piogge di settembre e poi provate anche voi a dare un’occasione ai Black Autumn. (barg)

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