Avere vent’anni: MANES – Vilosophe

Nel 2003 era solito frequentare un forum black metal abbastanza noto, e ricordo come se fosse ieri questo post chilometrico sui Manes in cui si cominciava a parlare sempre più insistentemente di questo nuovo disco a 4 anni di distanza dal capolavoro Under ein Blodraud Maane, lavoro imprescindibile che ha contribuito a lanciare le basi per quello che oggi denominiamo depressive black metal. Ai tempi non c’erano anticipazioni di alcun tipo dei dischi in uscita, e la curiosità di vedere cosa avrebbe tirato fuori la band di Trondheim era veramente altissima, finché un utente postò un paio di mp3 che pare gli fossero stati inviati dal leader Cernunnus, che scatenarono letteralmente il finimondo: gente sgomenta, insulti di ogni tipo, commenti sul livello di “la nera fiamma non si tradisce”, compresi alcuni che perculavano l’utente in questione pensando fosse uno scherzo di cattivo gusto.

E invece no, quei due brani facevano parte proprio del nuovo Vilosophe, uno dei cambi di stile più clamorosi del metal tutto. Per farvi capire siamo sui livelli degli Ulver che, un anno dopo Nattens Madrigal, tirano fuori quella roba su William Blake da quel titolo lunghissimo. Che in Norvegia in quegli anni ci fosse parecchia voglia di sperimentare ce lo ricordiamo bene, ma per alcuni i Manes erano veramente andati troppo oltre. Delle atmosfere putride e malate dei demo e del già citato esordio non era rimasto nulla: Vilosophe è una scheggia impazzita che si muove tra coordinate tipicamente avantgarde, elementi industrialoidi e addirittura divagazioni trip hop, il tutto contornato da un’atmosfera malinconica che ricorda un po’ i Katatonia del periodo di mezzo. Sebbene io sia una delle persone più distanti da questo genere, Vilosophe mi prese bene sin da subito, al contrario di quanto accadde per molti blackster della prima ora che neanche volevano sentirne parlare. Ancora oggi mi riporta alla mente un sacco di bei ricordi, soprattutto del mio periodo universitario, perché lo mettevo regolarmente in sottofondo quando dovevo studiare. Sebbene le sonorità siano particolarmente ostiche, i brani in realtà sono piuttosto immediati e, cosa che non guasta affatto, bellissimi, su tutti la quasi commuovente White Devil Black Shroud.

Un disco sicuramente non per tutti e che continuerà a non piacere ai metallari più tradizionalisti; tuttavia consiglio a chi l’ha snobbato ai tempi di dargli un’altra possibilità, perché sono sicuro che molti si potrebbero ricredere. (Michele Romani)

2 commenti

  • Avatar di Bartolo da Sassoferrato

    non posso dire che è un bel disco, ma è un disco sicuramente interessante. Hanno poi continuato sulla stessa strada, e hanno sicuramente raffinato il loro stile.

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  • Avatar di Carolina84

    Loro e altri come ovviamente gli Ulver hanno interpretato al meglio quella urgenza espressiva che il black metal voleva trasmettere: disinteressarsi di generi e steccati, suonare quello che si vuole e chi se ne importa delle reazioni. A vent’anni di distanza un album unico, sono rimasti praticamente sconosciuti ma forse a loro andava bene così.

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