ACID MOTHERS TEMPLE @ Sinister Noise, Roma, 19.11.2012

Per quei poveri stronzi che non li conoscono, io, che sono un sempliciotto, gli Acid Mothers Temple li definisco gruppo di psichedelia in senso ampio. Per Jajo suonano krautrock psichedelico con l’elettronichina. Il Negro arriva ad azzardare uno space rock tibetano. Ma non dilunghiamoci, visto che categorizzare è noioso e soprattutto inutile, anche perché la storia musicale degli AMT è talmente alla cazzo che secondo me nemmeno loro sanno quanti dischi hanno fatto o quanti sono in formazione. Tre, cinque, quarantadue. Io non ho ancora capito in che anno si sono formati. Wikipedia dice nel 1995, Negro invece spergiura sia successo nell’81, e io ogni volta che sento il numero ottantuno penso che Magnotta la lavatrice la comprò nell’81, e la pagò 480 mila lire in contanti.

Gli Acid Mothers Temple. Vecchi, Giapponesi, drogati, radunati: una persona, cinque persone, basso batteria rumore e frifri. Da un gruppo krautrock non ti aspetti che il primo album sia uscito negli anni ’90, e una volta scoperto, non ti aspetti che sia un gruppo krautrock di vecchi. Un gruppo krautrock di vecchi giapponesi. Un vecchio koan zen recita: da zanzara mordi una lastra di ferro. Frifri.

Ne  hanno fatta una lenta, che c’ha messo un mese, ma alla fine è schioppata. Mi diressi al piano inferiore passando attraverso poca gente che la tanta era giù: sala completamente annebbiata di stridìo grave e satura di frifri, frifri che aprivano spazi alle chitarre dirette da carri di bassi e batterie. Il colore del Sinister Noise è tendente al rosso, e questo è un bene, ho sempre preferito la parte bassa dello spettro del visibile a quella superiore. La bassa energia facilita il fomento fattone.  Archi infinitamente lunghi di giri, giri infinitamente pieni di assoli. I cinque Giapponesi si turrivano nei propri acidi attenti ai vari slanci, dispensando a noi tutti manciate noise di erpici, erpici e frifri. Lo zen sta al frifri come la musica sta agli Acid Mothers Temple. Per frifri intendo la mistura tra il suono del sintetizzatore e l’espressione di colui che lo suonava. C’era palese empatia tra l’uomo e la macchina. E questa forza viscerale di empatia io la chiamo frifri. Preceduti dalle cover vintage dei sempre affidabili Ape Skull, hanno suonato tre pezzi, secondo Negro cinque: non ne ho riconosciuto uno; ma poco importa: basso e batteria, chitarre e frifri. Hanno fatto tanto rumore.  Uno dei giapponesi ad un certo punto si è messo degli occhiali da sole rosa ridicoli a forma di simbolo della pace. E’ diventato ancora più giapponese.

Ripetevano i giri. Tantissime volte. Nel mio cervello c’è una specie di contatore. Conto i giri, inconsciamente. Quando sono arrivati al 32esimo e ti aspettavi che il pezzo cambiasse, NO, ancora quello. E tu gioivi, perché questo significava che sarebbero arrivati fino a sessantaquattro.  Hanno suonato poco più di un’ora. Non so perché, ma da un po’ di tempo tutti i gruppi che vado a sentire suonano pochissimo. È successo coi Lento, o coi Nadja. Ci resti male perché è come se ti stai scopando la donna della vita e a un millisecondo dall’amplesso  dice basta, e va a vedersi  C’è posta per te nell’altra stanza.  E tu resti lì, come uno stronzo. Loro hanno suonato relativamente poco ma è stato perfetto così, non c’è stata la sensazione di stop drammatico nella circuiteria cerebrale.  La Precondizione al concerto, che avevo raggiunto tramite dopamina e norepinefrina (fondamentale per apprezzare i gruppi che suonano questa roba) mi ha portato all’Accumulo, il rumore mi ha portato allo Scopo e la ripetizione ossessiva dei riff all’Esaurimento. A fine concerto, proprio al culmine del rumore subito finito in pace, ho raggiunto la Conseguenza Ultima. Io e i giapponesi siamo venuti insieme, insomma.

Jacopo mi ha mandato un sms il giorno dopo con scritto che gli Acid Mothers Temple gli hanno fatto uscire un’emorroide, e viveva una situazione dolorosa, ma piacevole. Secondo me è stato il kebab con le cipolle andate a male, poi non so. (Stefano Caschera)

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