The Greatfire Of Rome // IV Luna @Sinister Noise, Roma, 14.04.2012

Quando sbarcai nella capitale e iniziai a bazzicare i locali metal una delle prime band locali di cui ebbi contezza furono i IV Luna. Il motivo era semplice: ogni volta che andavi in bagno trovavi l’adesivo del gruppo appiccicato sulla porta, verde su nero. Quando Bj mi informa via sms del primo concerto dalla reunion, al Forte Prenestino, è quindi madeleine istantanea. Se vedo il logo dei IV Luna mi riconnetto ai miei early twenties e penso ai primi contatti col giro metallaro dell’Urbe (che alla fine non ho mai frequentato davvero), ai primi anni a Metal Shock, alle serate al Moon Club, poi diventato Sonica, poi Traffic, poi Closer, che sta a un tiro di schioppo da dove vivo ora. Se ci aggiungiamo che trascorsi la mia prima notte a Roma, per fare i test d’ammissione all’università, in un albergo situato esattamente a fianco della redazione dove poi sarei finito a lavorare, capite bene che la vita è piena di coincidenze che non sono mai tali, che non riusciamo a tradurre ma che un significato lo hanno. Cerchi che si chiudono e si riaprono. Un sacco di input e output. Ad esempio, pochi giorni fa ho conosciuto il mio doppelgänger. Ma questa è un’altra storia.

Insomma, alla fine al Forte marcai visita. E pure alla gig successiva, al Traffic, dove gli autori di Libera Mente erano supportati da una giovane formazione concittadina della quale si diceva un gran bene, tali The Greatfire Of Rome. Stasera al Sinister Noise le parti sono invertite e aprire le danze tocca ai veterani. Si erano sciolti nel 2006, dopo l’ep Anteroom. Ognuno ci aveva gli affari suoi musicalmente parlando. Alex i Belladonna, Bj i Doomraiser e così via. Poi l’anno scorso esce un disco nuovo, The Last Day Of An Ordinary Life, che potete scaricare aggratis qui. Attaccano con una lunga introduzione strumentale e si capisce da dove vengono. Progressive metal sì ma con le radici affondate in un altro progressive, quello che ci rendeva fieri di essere italiani un trentacinque anni fa. Brani dall’ossatura complessa, dove la tecnica non va mai a detrimento dell’aggressività, che reggono una carne dal sapore a volte sorprendentemente classico, tra melodie maideniane e riff serrati e pressoché teutonici. Vecchi amici cantano i pezzi dei primi album, io presto un orecchio più attento a quelli dell’ultimo, che non ho ancora ascoltato, come la rocciosa Unsafe Prison, per la quale verrà presto girato un video. La band è compatta, ha l’aria di divertirsi. Li guardi in faccia e capisci che anche per loro è una madeleine.

Un paio di pezzi dei The Greatfire Of Rome e mi rendo conto che ho appena fatto una gran bella scoperta. Era la prima volta che li sentivo. Dal vivo il power trio suona quadrato ed energico e a prevalere è la loro anima più stoner e arrembante, anche per via di un approccio vocale più graffiante rispetto alle versioni in studio dei brani. Poi ti risenti a casa l’ep che hai comprato al banchetto e ti rendi conto che non solo hai fatto davvero una gran bella scoperta ma che il loro sound è troppo variopinto e guizzante perché se ne possano notare subito le diverse sfumature.  Ma allo stesso tempo è inesorabile e immediato. Sentitevi un singolone come Blindoom e ditemi se non potrebbe passare tranquillamente in scaletta su Virgin Radio con voi che pensereste a una qualche new sensation da Oltremanica. Ci sono sabbiosi riffacci kyussiani ma c’è anche una forte vena post-punk, che viene fuori nei momenti più riflessivi o in certe morbide linee vocali; spesso si pensa a dei Muse con la componente sabbathiana al posto di quella maideniana. Ci sono brevi lampi che per pochi secondi illuminano il volto del grunge o del brit pop e ci sono momenti in cui suonano così dannatamente moderni che uno direbbe che è il suono degli anni zero se gli anni zero avessero mai avuto un suono. La tensione sul palco non cala per un attimo. Sudano e noi con loro. Spaccano, davvero. L’anno prossimo li voglio vedere all’Acid Fest. La sparo grossa: nella storia del rock ci sono stati solo tre casi in cui l’Italia ha dimostrato di avere qualcosa da dire. Nei ’70 con il prog, negli ’80 con l’HC e oggi con il circuito stoner/psych e tutto ciò che vi ruota intorno. Cerchi che si chiudono e si riaprono, appunto. Da una parte siamo agli antipodi rispetto all’Alma Albione da cui (quasi) tutto germina, dall’altra siamo pur sempre il paese europeo in assoluto più imbevuto di cultura americana. E’ vero che il deserto da questo lato dell’Atlantico ce l’hanno solo gli spagnoli ma ad andarci a girare la Trilogia del dollaro siamo stati noi. Perché a noi italiani ci ha fottuti il benessere, non era roba nostra. Adesso che da quel punto di vista si sta un po’ nella merda che almeno si ricominci a creare qualcosa. Che di storie da raccontare non ne mancano.  (Ciccio Russo)

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