Orrore d’autore: i Metalachi

Operiamo immediatamente delle distinzioni preliminari : il metal sudamericano è underground, spesso nell’accezione più deleteria del termine, è genuino e sovente tecnicamente poverissimo, è, soprattutto, quasi sempre trash senza l’acca dopo la ti. Ma è anche creativo nella misura in cui riesce a sopravvivere in mezzo a giungle più o meno metaforiche (più più che meno), creando identità, significati e concetti percepiti qua e là dal resto del mondo.

I messicani vanno oltre.

Geograficamente prossimi agli Stati Uniti, i messicani prendono quello spirito latino fatto di sincretismo religioso, famiglie allargatissime, cerimonie colorate e lo elevano alla massima potenza, al kitsch più esasperato. Insomma, per averli in simpatia occorre avere una certa predilezione per alcune dinamiche estetiche e comportamentali che magari non sono affini a tutti noi. Per dire, Tiziano Ferro espresse giudizi estetici apparentemente poco lusinghieri riguardo ai baffi delle donne messicane; solo in seguito scoprimmo che non lo intendeva in una accezione negativa.

Tornando a noi, i Metalachi, in quel kitsch di cui sopra, ci navigano con una leggerezza che uno fa quasi fatica ad immaginarli conciati diversamente.

Pretendere di avere informazioni attendibili dalla biografia ufficiale è esercizio sterile, quello che è certo è che questi sgargianti buffoni prendono il salsa metal dei Puya e lo sorpassano a destra con le chiappe sul finestrino per prendersi gioco dei portoricani. Quello che nei Puya poteva sembrare un tentativo organizzato di combinare ritmiche latine e metal, nei Metalachi diventa destrutturazione dell’oggetto musicale altrui. Bon Jovi, Iron Maiden, Metallica, Motorhead, Europe, Dio, Judas Priest, triturati in una centrifuga di fiati e violini e ridicolizzati da una messa in scena che è l’apoteosi dell’orrore di kurtziana memoria, tra sombreri con le lucette, borchie, teschioni di plastica e camice barocche.

Attivissimi negli stati del sud, dal Texas alla California, hanno conquistato il loro quarto d’ora di gloria grazie ai video delle loro pittoresche esibizioni in locali da Easy Rider. Ho seri dubbi che possano avere un futuro, se non altro ci hanno ricordato per un istante a quali livelli può arrivare la degenerazione del folk.

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