D.R.I. @Traffic, Roma, 13.11.2011

Arriviamo al Traffic intorno alle 22.30. Ci godiamo la vista delle solite giacche smanicate decorate con toppe dei vari Exodus, Suicidal Tendencies e via discorrendo. C’é perfino un tipo che indossa una t-shirt dei Gehennah (sì, proprio quelli con la “h” finale) e Ciccio prontamente gli fa i complimenti per la ricercatezza e l’originalità. Inutile dire che mi associo alle lodi.Una birretta veloce e un paio di sigarette mentre ascoltiamo  distrattamente i pezzi del gruppo spalla, gli israeliani Hammercult, da poco fuori con il loro ep d’esordio Rise Of The Hammer e subentrati in seguito al forfait degli Anti You (arriviamo purtroppo troppo tardi per la performance dei capitolini Taste The Floor). All’improvviso sentiamo da fuori le prime note di All For Nothing ed immediatamente buttiamo le cicche, svuotiamo i bicchieri ed entriamo. I D.R.I. partono con Beneath The Wheel e l’ambiente inizia a riscaldarsi. Manco il tempo di far cominciare Acid Rain e… BAM! Ecco che il primo disgraziato avventore della fossa dei leoni viene portato via di peso. E mentre io e il buon Ciccio ci facciamo una scommessina su quale sia l’arto rotto,  le prime vittime si ritirano sconfitte lasciandoci lo spazio per avvicinarci ulteriormente alla “zona rossa”, giusto in tempo per la gloriosa Thrashard… Come si fa a resistere? Ci lanciamo dentro l’inferno come forsennati, tra stage diving e altre sane attività cui si è solitamente dediti in occasioni di questo tipo. Evitiamo due o tre interventi a gamba tesa ed ecco che i nostri attaccano con Probation, da quell’immortale capolavoro che è Crossover. Kurt è in gran forma, Harald Oimoen fa il buffone e Spike ha un suono di chitarra che spacca il culo (ottima l’acustica, a proposito).C’è spazio anche per qualche estratto da quello che fu il loro ultimo album in studio, ovvero quel Full Speed Ahead che ormai da troppo tempo aspetta un successore. Via quindi con I’m The Liar. Qualcuno sale sul palco e suggerisce ad Harald due paroline nell’italico idioma che, ci scommetto, non farebbero contento nessun cristiano cattolico apostolico romano praticante. Lui le ripete, mandando il foltissimo pubblico in visibilio. E’ poi la volta di alcuni classici come I Don’ t Need Society, tratta dal loro primo lp. Si scatena nuovamente l’inferno, e qualche stage diver viene portato via dalla folla verso il fondo della sala. Non lo vedrò mai più. Il pubblico continua a richiedere alcuni dei pezzi più amati ed ecco che, dopo averli eseguiti, Kurt dà la buona notte. Ma è solo una finta, perché i nostri non ci hanno ancora regalato pezzi come Who Am I, Abduction , la mitica Dead In A Ditch e Violent Pacification, con quel finale terrificante che manda la folla in delirio in un turbinio di spintoni, gomitate e gente che ti vola sopra la testa. Inutile dire che scoppia di nuovo la baraonda quando viene eseguito un inno ai piaceri della vendetta come The Five Years Plan. Dopodiché la serata è davvero finita e tutti contenti ci ritiriamo verso le nostre abitazioni completamente sudati e con un piacevole freschetto notturno di poco superiore allo zero. Vuol dire che se mi buscherò una polmonite, almeno morirò contento. (Piero Tola)

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