With Oden on our side: due chiacchiere con gli Amon Amarth

“Suoniamo death metal. Ci chiamano viking metal perché parliamo dei vichinghi ma loro di metallico avevano solo le spade, dal punto di vista musicale credo suonassero solo dei bongo e quegli strani strumenti a fiato” Johan Hegg, Amon Amarth

(Intro di Ciccio Russo, intervista di Tarja Virmakari)

E pensare che stavano pure per sciogliersi. Versus The World, uscito nel 2002 ad appena un anno di distanza da quel The Crusher che ne segnò la definitiva consacrazione, avrebbe dovuto essere l’ultimo album targato Amon Amarth. Troppo stress per i continui impegni promozionali, si diceva. Timore di non aver più nulla da dire, pare. Non che Johan Hegg e compagni di sbronze avessero mai avuto chissà che cosa da dire, peraltro. Ai tempi dell’esordio Once Sent From The Golden Hall erano solo uno dei tanti nomi che affollavano l’allora ancora vivace (sebbene ormai più dal punto di vista della quantità che della qualità) panorama death metal svedese. Nello spazio di un paio di dischi, proprio mentre quel movimento stava collassando definitivamente su se stesso, l’act di Stoccolma iniziò però a riscuotere dei consensi che continuano ad apparire un po’ misteriosi, soprattutto a chi, come il sottoscritto, non li ha mai apprezzati più di tanto. Oggi la loro formula sonora catchy ed epica, spesso più funzionale in sede live che in studio, e il loro immaginario a base di vichinghi e sbronze colossali continuano a conquistare fan, e a noi francamente fa piacere. Perché la scena ha bisogno di gruppi come gli Amon Amarth, che continuano ad essere – un po’ come furono i Children Of Bodom – un viatico per i più giovani verso sonorità più estreme e complesse. E, pur nel loro piccolo, fanno cassa. Perché il futuro della musica che amiamo è anche legato a questioni meramente commerciali, e senza nomi di richiamo under 40 da inserire in cima alla bill non c’è molto da sperare per il futuro, soprattutto in una fase dove i soldi ormai arrivano quasi solo dai tour. Ed è stata proprio l’intensissima attività live del quintetto scandinavo, tornato alla ribalta con il fresco di stampa Surtur Rising, il principale argomento della conversazione tra il bassista Ted Lundström e la nostra Tarja…

In questi anni avete girato il mondo in lungo e in largo, c’è stato un tour o una data che ha rappresentato un momento particolare per la vostra carriera?

“Non riesco a citare un evento specifico che abbia un significato particolare per noi, sono molti i mattoni che hanno costruito quello che è la band oggi. Quando suonammo in Usa di spalla a Children Of Bodom e Trivium, ad esempio, ci trovammo ad avere a che fare con un pubblico più grande di quello al quale eravamo abituati, e ciò ci permise di arrivare ad un livello tale da consentirci di gestire tour da headliner più facilmente. Suonare al Loudpark in Giappone fu la realizzazione di un sogno. Fu il nostro primo show nipponico, anche se non so quanto poi ci abbia aiutato in termini di dischi venduti e ulteriori tour”.

Un tipico fan degli Amon Amarth

A maggio inizierete il tour di supporto al vostro ultimo disco, Surtur Rising, per poi ripartire in autunno. Quali paesi toccherete questa volta?

“Alcune date sono già state pianificate, altre lo saranno presto, per quanto riguarda i concerti autunnali non so dirti molto. Inizieremo con una breve tournée britannica insieme ai Children of Bodom, poi saremo negli Stati Uniti per alcune settimane e infine torneremo in Europa. L’estate ce la prenderemo abbastanza tranquilla, abbiamo deciso di saltare la solita trafila di festival estivi, al momento abbiamo confermato solo il Tuska in Finlandia. Spero che saranno degli show grandiosi, e in cuor mio ne sono convinto, dato che il nuovo album è stato accolto così bene. Per le date americane proveremo a fare qualcosa di nuovo. Non ci saranno gruppi d’apertura e suoneremo per tutta la sera, iniziando con l’intero Surtur Rising dal primo all’ultimo brano e, dopo una breve pausa, un’intera scaletta di pezzi vecchi”.

Eseguite qualche sorta di rituale scaramantico prima di salire sul palco?

“Nulla di particolare, a parte la tradizionale bevuta di Underberg ogni volta che ne abbiamo la possibilità, altrimenti ci riscaldiamo e basta, magari beviamo qualche birra per far salire l’adrenalina. Cerchiamo di dare al pubblico il massimo, deve arrivare un sacco di energia, sia da parte nostra che loro”.

Ora parliamo del nuovo disco…

“E’ un po’ più ampio dei precedenti. Non che qualcuno resterà chissà quanto sorpreso, ma abbiamo cercato di rendere i brani veloci ancora più veloci e quelli epici ancora più epici. Abbiamo anche lavorato molto in studio per rendere il suono più organico e acustico. Il disco è stato scritto alla fine del tour di Twilight Of The Thunder God. Ci prendemmo alcuni mesi liberi per raccogliere riff e idee. Oggi che tutti hanno un computer è più facile scambiarsi le idee e cose del genere. Poi ci siamo visti in saletta per iniziare a scrivere. Dopo aver finito di comporre circa metà album, ci siamo presi un’altra pausa per raccogliere ulteriore ispirazione e abbiamo mandato le demo al nostro produttore Jens Bogren per avere il suo punto di vista. Una volta finito tutto siamo entrati in studio”.

Perché avete dedicato l’album al gigante di fuoco Surtur?

“Abbiamo scelto Surtur come punto di partenza perché è un personaggio mitologico fichissimo, il fuoco poi è sempre stato il nostro elemento, e lui è il capo dei giganti di fuoco… Non abbiamo basato tutto l’album su di lui, giusto un paio di canzoni: ovviamente Destroyer of the universe, che parla di Surtur che distrugge il mondo con il fuoco, mentre Last stand of Frej racconta la stessa storia vista da un’altra prospettiva”.

Siete partiti nel 1988 sotto il nome di Scum, perché avete adottato successivamente il moniker Amon Amarth?

“Gli Scum erano la vecchia band di Olavi (Mikkonen, chitarrista e principale compositore, ndr) e, dopo molti cambi di formazione, decidemmo di intraprendere una nuova direzione. E’ difficile trovare un nome per il tuo gruppo che non sia già stato usato. All’epoca leggevo molto Tolkien, e l'”Amon Amarth” non è altro che il Monte Fato in lingua Sindarin”.

Progetti per il futuro?

“Niente di particolare, ci concentreremo sui concerti, magari gireremo un video, chissà. Un saluto a tutti coloro che tengono l’heavy metal in vita venendo agli show e comprando i dischi, ci vediamo in tour. Kippis!”.

5 commenti

  • Avatar di masullomarco

    Sono d’accordo con Francesco Russo, gli Amon Amarth sono uno di quei gruppi “portatori d’acqua” che fa avvicinare molta gente non avvezza a certe sonorità al death metal. Loro, così come i Dark Tranquillity.

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    • Mario Galleope
      Avatar di Mario Galleope

      Conosco poco i Dark Tranquillity visto che ho ascoltato solo qualche loro pezzo, però credo siano un pò più che portatori d’acqua visto che sono stati uno dei primi gruppi di Death Metal Melodico

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  • Avatar di lukasbrunner

    Concordo. Sono quelli che personalmente chiamo “onesti artigiani” del metal: niente di superartistico o supergeniale, ma si lasciano ascoltare, danno le sensazioni giuste, fanno scapocciare il giusto, hanno tutto quello che serve per essere un certo tipo di metal… Insomma, se vogliamo: didattico senza essere noioso. E a me piacciono così. Massimo rispetto.

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  • Avatar di manupz

    d’accordo anch’io ma di stroppiare un pezzone come arials dei system se lo potevano risparmiare . Saranno pure onesti artigiani… ma si cimentassero con materiale artigianale ahahahah

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  • fabriziomagno
    Avatar di fabriziomagno

    ciccio, faccio riferimento al tuo pensiero su amon amarth/giovani nel mio libro in quanto lo condivido e lo penso da anni!

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