THERION – Sitra Ahra (Nuclear Blast)

Uffa, uffa e ancora uffa. Non è professionale iniziare una recensione così, vero? Estiqaatsi! Reazioni istintive a parte, non mi permetterei mai di fare una stroncatura pecoreccia tout court per il grande rispetto che nutro nei confronti dei Therion. Lepaca Kliffoth è stato importante per la mia crescita tanto quanto il latte del seno materno. Di quell’album mi piaceva tutto. Anche la sgraziatissima e cacofonica voce di Christofer Johnsson e le improponibili stridule impennate della cantante soprano. Theli era semplicemente divino. L’autocelebrativo A’arab Zaraq – Lucid Dreaming, una dimostrazione de facto che a volte le cover sono migliori degli originali, per non parlare dell’ossessivo ritornello ricorrente nella seconda parte: <<La-la-la, lallàlallàlallà>>, che ancor’oggi mi perseguita. Su Vovin ci ho lasciato un pezzo di cuore. Solo i migliori riescono a tirare fuori, in una sequenza così stretta, cammei di tale raro valore. Detto ciò non me la sento di affermare che tutto il resto sia noia, ma quasi.

Secondo me ascoltare un album delle “bestie selvagge”, da Vovin in poi, è come guardare i quadri di Alfons Mucha. La prima volta che lo osservi sei rapito dalla eterogeneità dei particolari, dall’intreccio curvilineo dei temi vegetali, dall’uso prezioso delle sfumature, dalle complesse ondulazioni arabesche delle cornici, insomma dal manierismo tipico dello stile liberty. Il secondo ti appare bello quanto il primo ma ti prende già di meno. Dal terzo in poi, pur riconoscendo a te stesso che nel suo genere è davvero apprezzabile, subisci inevitabilmente un calo di attenzione. All’ultimo infine, che magari è anche oggettivamente più elaborato del primo che hai visto, gli dedichi solo una fugace occhiata e non volendo ti ritrovi a contraccambiare lo sforzo dell’artista con uno sbadiglio a quattro ganasce. Uscendo fuor di metafora si può affermare che Sitra Ahra è l’ennesimo buon lavoro compositivo, pieno zeppo di fioriture, monili Rococò, spume e fuochi artificiali, di cui non si sentiva la mancanza. Poi, questi riferimenti monotematici (a parte il richiamo lovecraftiano ai Grandi Antichi in Sirius B), a un certo simbolismo, dalla Qabbalàh alla Clavicula Nox, che obiettivamente sa di vecchio, mi ha un pò stufato. Questo lavoro non può di certo essere collocato nei cieli superni della migliore agiografia metal ma nemmeno degradato a volgare imitazione dei fasti di una antica età dell’oro. Sitra Ahra si insedia dunque nel limbo di color che son sospesi perché non meritevoli né di plauso né di biasimo. Una cosa va detta però. Non è possibile che il pezzo più figo sia Din che non c’entra nulla col resto: una via di mezzo tra i Venom e i Judas Priest, davvero!

Dimenticavo. Il video del primo brano! Una roba figherrima! Comincia così: c’è un’inquietante ragazzotta che si aggira, in evidente stato di alterazione mentale, sola soletta in un bosco grim and frostbitten. A un certo punto (ero davvero incredulo) si inginocchia e sputa a terra una roba biancastra… Secondo me la malcapitata è stata sedotta da un Burzum super infoiato appena uscito di galera che si inoltrava nei suoi boschi per commettere atti impuri contro ogni morale e degni del nome che porta. (Charles)

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