La lista della spesa di Griffar: appuntamento col fantasma

III: Frühling è il titolo del nuovo CD del progetto depressive black atmosferico WEHMUT, del quale unico artefice è il bavarese Johannes Rieß, anima tormentata visto che, a quanto si dice in giro, i testi sono tutti autobiografici e non sono certo allegre poesiole. Musicalmente si spinge ai confini del post-black, sebbene la fonte della sua musica sia pienamente ascrivibile al sottogenere succitato. In realtà è meno estremo di quanto pensiate, i tempi sono sì cupi ed opprimenti così come lo sono i riff portanti riverberatissimi, ma su di essi vengono intrecciati altri riff di matrice sostanzialmente melodica che rendono fruibile la sua musica anche ai meno avvezzi al genere.

Uno scoglio da affrontare c’è, ed è il suo screaming lacerante, straziato, acutissimo, che penetra i timpani come fossero spilloni roventi e per chi non gradisce più di tanto simili impostazioni vocali infine può risultare sgradevole. Superato questo choc il nuovo Wehmut è proprio un bel disco: ispirato, coinvolgente, sembra che innalzi una fitta nebbia attorno all’ascoltatore impenetrabile da agenti esterni disturbatori, cosicché ci si possa immergere completamente nell’ascolto ed emozionarsi con ciò che l’artista ha inteso comunicare.

Quando mi è arrivato il Bandcamp alert di una nuova pubblicazione dei GRAVES IN AUTUMN mi è venuta l’acquolina in bocca. Questi tedeschi non sono degli innovatori, la loro musica è profondamente ispirata dai Nocte Obducta, ma scusate se è poco: meglio puntare su un cavallo vincente piuttosto che suonare come la miliardesima copia dei DarkThrone e sparire nel tempo di un amen.

Per nostra sfortuna Schatten eines Abschieds di musica nuova ne offre poca, due brani appena su sei totali: il centrale Lebewohl ed un secondo più grezzo e veloce intitolato 2nd Darkness, qui in versione rimasterizzata rispetto a quella originale apparsa su una fantomatica demo che il gruppo avrebbe registrato nel 2007 ma del quale neanche Metal Archives è a conoscenza. Gli altri quattro brani sono o versioni rimasterizzate di composizioni già pubblicate nei due album più datati, oppure, come nel caso del conclusivo Verscharrt und Vergessen (first rehearsal April 2011), si tratta della prima versione di un pezzo incluso in Lichtspielhaus der Schatten, loro seconda opera uscita nel 2018, appena un minuto più breve della versione già nota che sfonda il muro dei 20 minuti. Insomma, per chi già li conosceva questo è un disco non indispensabile; lo classificherei come compilation utile a nuovi appassionati per farsi un’idea della bontà dei loro pezzi. Essendo uscito solo in digitale, per chi già li conosce tanto vale comprarsi solo i due brani mai effettivamente usciti prima, si risparmia qualcosa.

Uno dei miei dischi dell’anno è senza dubbio Breath, il nuovo disco dei tedeschi AUßERWELT, un gruppo che suona in modo unico, imparagonabile a qualsiasi altra cosa abbiate in mente quando si parla di black metal. Come si potrebbe definire questa musica? Avantgarde black metal? Progressive black? Perché no, vale tutto, visto che di fatto io non riesco a trovare alcun punto di contatto con chicchessia. Forse, ma proprio alla lontanissima, qualcosa dei Nocte Obducta più intricati ce l’hanno, ma è quasi una forzatura, perché quest’affermazione è smentibile in qualunque momento. Oppure i Limbonic Art più incasinati, tenendo presente che gli Außerwelt non utilizzano le tastiere.

Il disco raggiunge l’ora di durata suddivisa in nove brani molto omogenei nella loro complicazione. I quattro componenti della band sono tutti tecnicamente dotatissimi e scrivono musica che di fatto rientra nel black metal (ma contemporaneamente se ne distacca) utilizzandone alcune peculiarità come i blast brucianti in monocorda. Le composizioni sono tese ed impattanti, inducono timore, sono ansiose, talvolta lugubri, hanno un che di siderale, di preconizzante qualcosa di ostile che arriva dalle profondità più ignote del cosmo intenzionato a cambiare in peggio le nostre tormentate esistenze. Nessun brano è mai lineare, o di facile presa; tutto ciò viene evitato come la peste, anche le numerose sezioni di chitarra non distorta sono dissonanti, disturbanti, corrosive, e la voce è uno screaming strano, più basso del solito, quasi un’ibridazione con il growl dei gruppi blackened death metal, solo che questo non è blackened death metal, è altro. Mi viene quasi da definirli i Sulphur Aeon del post-black metal, il livello di originalità è quello, benché gli Außerwelt agiscano in un contesto assolutamente diverso. Ma ripeto: non hanno eguali. Cercate anche i loro lavori passati, due mini-album e un EP, grandiosi pure questi anche se meno sperimentali.

Sì rifanno vivi anche gli OFERMOD, gruppo che non credo necessiti di presentazioni. Drakosophia è il sesto album in diciassette anni, da quando la band risorse un decennio dopo l’introvabile 7 pollici Mystérion Tés Anomias, disco-culto contenente due tra i più maligni brani che si sia potuto ascoltare nell’intera storia del black metal. Ritornati come progetto religious black dai forti connotati ritualistici ed occulti, gli Ofermod hanno pubblicato dischi con regolarità dando l’impressione che l’episodio successivo fosse comunque legato al precedente, rappresentandone in qualche modo l’evoluzione naturale.

In sostanza nessuno dei loro dischi è uguale a uno pubblicato in precedenza, il loro è un costante avanzamento in linea retta senza punti di rottura o ripensamenti. Le composizioni sono tutte farina del sacco di Belfagor come sempre, il cantante è nuovo (oggi il portoricano Adeptus) e anche i session sono diversi, ma in pratica non è cambiato niente dall’ultima volta: il marchio di fabbrica Ofermod questo è e tale rimarrà, sinché lo stesso Belfagor non deciderà di averne abbastanza. Tutti i pezzi sono formalmente perfetti, né troppo lunghi né troppo brevi, sono quanto di più satanico si possa reperire in giro da almeno dieci anni a questa parte e si ergono a protagonisti della scena black metal ortodosso svedese anche questa volta. Chiedere loro di più o qualcosa di differente sarebbe insensato. (Griffar)

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