Occhiali da sole al buio: e anche quest’anno la playlist deathrock di Halloween è servita
Sempre attenti alle feste comandate, noialtri, anche a quelle importate dai colonizzatori del rock’n’roll. E diciamolo, l’Halloween ha il suo perché, tra tante finte tradizioni angloamericane questa qui almeno ci dà l’occasione di recuperare i vecchi horror dagli anni ’30 agli ’80. E le uscite dell’anno in corso di area darkwave, coldwave, gothic rock e chi più ne ha più ne metta. E quindi anche di deathrock, il cugino americano ed eroinomane del goth inglese che appunto, giustamente, non piace altrettanto ad architetti e designer. Un sottobosco cugino rispetto al nostro, a quello della “nostra” musica, ma anche parecchio attiguo, fatto di sonorità fredde e macabre, morbose, a volte romantiche.
L’anno scorso di questi tempi le danze le abbiamo aperte con l’album dei Nox Novacula e quest’anno le apriamo con quello dei NYX DIVISION. Nome simile, formazione similare e formula che in fondo siamo lì. Sui Nyx Division forse si allungano le ombre di Siouxsie e dei suoi Banshees e in Midnight Lights di brani che sarebbero buone outtakes di un Juju ce ne sono. Anche per la struttura secca. Basso e batteria asciutti. Chitarra tutt’altro, anzi, piena di echi e squillante, e una bella voce, quella di Domino Monet, che quando azzecca pure la linea vocale è davvero contagiosa. Ed è il caso, ad esempio, del singolo Soldier of Love. Anche se il video, pure un po’ fetish, non è tutto ‘sto dark. Perché comunque i Nyx Division sono un po’ luminosi. Luci al neon, pure quelle anni ’80, fucsia e blu. A tratti sembrano davvero inglesi, anziché di Portland, tipo appunto in Midnight Lights che sarà venuta fuori tipo “ehi, proviamo a dare un brano che comincia come gli Echo & the Bunnymen”. E gli è riuscita proprio così. Riferimenti di un certo livello, Banshees e Bunnymen. Però ok, i Nyx Division sono più che onesti, mettono su un buon disco e ci fanno partire la playlist di Halloween col piede giusto, ancora un po’ sognante, prima che siano solo incubi.
Incubi che invece prendono il sopravvento quando la puntina si posa (virtualmente) su Dreams of Lurking Fear dei californiani SYMPATHY FLOWERS. Che è più viscerale e preso a male. Più deathrock per davvero, sicuro, e pure anarco-punk. La melodia un’incidente di percorso, semmai una cantilena viziosa, scoglionata e riot (Sworn to Silence, paiono le Bratmobile). Esordio di gente che non pare proprio giovanissima, il disco fa leva soprattutto su energia punk e un suono oscuro, ma non proprio sul tutto vizioso, del tutto depravato, quello no. Anche se nel coro di Apparition ci starebbe quasi la voce diafana di Rozz Williams. Rispetto ai Nyx Division non c’è il singolo forte e forse nemmeno la capacità di tirarlo fuori, ma mediamente il disco è gagliardo e trascinante. Contribuisce ad alzare su i battiti e la pressione sanguigna, così poi quando arrivano i vampiri magari ci prendono al primo tentativo.
E visto che abbiamo sciorinato due nuove band deathrock contemporanee, peschiamone pure una storica, che c’era, all’inizio della storia, assieme a Christian Death e 45 Grave. Loro sono gli ALTAR DE FEY e però all’epoca non hanno registrato mica nulla. Son tornati negli ultimi anni, un po’ mummificati, disseppellendo musica marcia e impestata. L’ultimo album si intitola Under a Waxing Moon e con loro l’atmosfera si fa davvero macabra e seria. Bassi-caverna, ritmi tribali, voci malati ed eco di chitarre dai bassifondi. Non registrato come un demo o una roba vintage, anzi, tutto preciso e intelligibile, ma in tutto e per tutto coerente con lo stile di (ormai) trentacinque anni fa che andava di moda tra gli scavafosse punk e i profanatori di tombe della California. Disco morbosamente piacevole, anche in quei due o tre momenti in cui si lambiscono i Killing Joke. I Christian Death che ve lo dico a fare. Insomma, per entrare nel vivo della vostra cupissima festicciola di Halloween non riuscirei ad immaginare niente di meglio.
Se poi ai convitati meno avvezzi alle chitarre elettriche e alle batterie vere voleste iniziare a servire una playlist più electro, ballabile e darkwave (d’altronde, si sa, le sfumature del nero son pur sempre ben più di cinquanta), niente paura. Potete offrire una pietanza succulenta e sanguigna come Synthome, il nuovo album dei napoletani ASH CODE. Buio rischiarato (poco) da luci sintetiche al neon, sventagliate di tastiere sintetiche e pulsare ritmico sintetico. Bassi drittoni e linee vocali monocordi tipo Sisters of Mercy, che c’è poco da stare allegri, anche nel mezzo della pista da ballo. Fuori fa freddo, anche se è Napoli e non la Bielorussia. Ma non sono del tutto inospitali gli scenari sonori, non per noialtri, almeno. Anzi, gli Ash Code sono potabili ed è una buona cosa. Quando un po’ costeggiano la synthwave di moda pochi anni fa. O quando addirittura pare ci manchi davvero poco al palco del Festivalbar (Far Away, pezzo ruffiano e contagioso). O quando si fanno prendere dalla nostalgia per il repertorio classico dei Depeche Mode (in Nostalgia). Canovaccio piuttosto rigido e più di tanto non si esce dal seminato (altrui), ma per una cinquantina di minuti si balla e si ancheggia tutti convinti ed accigliati. Non vi piace? Ché questo doveva essere uno speciale tutto deathrock? Ma se poi invitate gente che ha voglia di ballare da me che volete… (Lorenzo Centini)
