Cordoni, Spaghetti & Caproni: la rassegna stocastica dei bassisti metal italiani #7 – Gianluca Fontana (G.L.)

Se seguite questa rubrica, avrete notato che mi sono occupato di presentarvi bassisti molto bravi tecnicamente e contemporaneamente molto virtuosi. In realtà, molti bassisti non sono virtuosi dello strumento, nel senso che, pur essendo degli ottimi strumentisti, non mettono più di tanto in mostra la propria bravura tecnica. Nelle interviste, dove ho cercato di parlare del ruolo del basso all’interno dei gruppi, del modo in cui viene interpretato e di conseguenza suonato, per esempio in quella a Dino Fiorenza, emerge che l’interpretazione più diffusa tra i bassisti riguardo il proprio strumento è quella di fare da sostegno, ovvero di occuparsi delle fondamenta sia ritmiche che armoniche dei brani e non uscire, di solito, da questa dimensione sotterranea, poco appariscente e perciò poco udibile. Questo tipo di approccio, che solo in apparenza è discreto, in realtà serve a fare ciò per cui il basso storicamente nasce, ovvero consolidare la parte puramente ritmica che viene dalla batteria, collegarla con gli strumenti armonici, che nel metal coincidono con le chitarre, più raramente con le tastiere, e fornire una base percepibile, che viene seguita dalla voce e dagli strumenti solisti. Dunque la funzione del basso è quella di aumentare la coesione dell’insieme, qualunque esso sia, e di ampliare la profondità del suono, grazie al suo timbro grave. Senza il basso, gli altri strumenti suonano isolati, distanti, sospesi, poco collegati sia nella composizione che nel timbro. Quando c’è il basso, invece, tutto fila più liscio, suona più naturale, più pieno e più stabile. Ecco quindi perché, in realtà, non è obbligatorio che il bassista in un gruppo sia un virtuoso a tutti i costi, giacché la sua funzione è musicalmente importante di per sé, anche se non sta in primissimo piano.

Come esempio di questo approccio sostanziale e strutturale al basso, vi presentiamo oggi G.L., ovvero Gianluca Fontana, musicista attivo nell’underground metal estremo, come bassista e come cantante, per esempio nei Legion e negli Enough To Kill, ma oggi noto soprattutto per suonare il basso nei Necrodeath, che ha raggiunto a partire da Phylogenesis (2009), diventando dunque il bassista più longevo della loro storia. Successivamente è entrato anche nei Cadaveria, dai tempi dello split Mondoscuro (2016), dove assume il nome d’arte di Peter Dayton. Il motivo per cui prendiamo il bassista dei Necrodeath è che si tratta di un perfetto esempio della funzione fondamentale del basso nel metal di cui parlavo sopra, e poi perché conviene parlare dei Necrodeath, finché siamo in tempo. A questo proposito, non disturbiamo G.L. con un’intervista, perché sappiamo che si trova occupato con il Last Tour of Hate, il quale proseguirà fino alla fine del 2025. Magari un’altra volta.

Venendo all’approccio di G.L. allo strumento, il suo è un lavoro principalmente orientato alle fondamenta ritmiche e armoniche dei brani: lavora a stretto contatto con la batteria, provvedendo alla pulsazione e alla percezione di “rincorsa” tipica del metal estremo, mentre, dal lato armonico, dà corpo agli accordi suonati dalla chitarra, marcando la tonalità, che nel caso dei Necrodeath può anche mancare, ma accentua comunque la sequenza di note scelte per il brano e assume pertanto la funzione di guidare la voce, la quale segue le toniche, ovvero le note fondamentali alla base di ciascun accordo. Questa funzione di sostegno dell’armonia da parte del basso è ancestrale, trasversale a tutta la musica di tutte le epoche e di tutte le culture che adottano strumenti dal suono grave: in questo aspetto, il basso di G.L. può essere paragonato alle sezioni gravi dell’orchestra classica (contrabbassi, violoncelli, fagotti, tromboni etc.), le quali si occupano di legare ritmo e armonia, ma anche di creare una struttura sonora portante per il brano, dare un timbro particolare e anche un’energia ritmica primordiale, percepita spesso a livello inconscio da chi ascolta. Ci sono innumerevoli esempi celebri: possiamo prendere la Passacaglia e fuga in do minore di J.S. Bach (BWV 582), una delle composizioni più famose della storia della musica, dove il tema principale è proprio affidato al basso d’organo, che ripete ossessivamente una linea, dalla quale si sviluppa tutta la successiva costruzione del brano, oppure la più moderna e aggressiva La Sagra della Primavera di Stravinskij, ove contrabbassi, tuba e fagotti gravi sono usati per dare accenti brutali e ritmi martellanti, che creano un senso di primordiale violenza. Anche se non siete appassionati di musica classica, fareste bene a dare un ascolto a queste opere, perché la nostra sensibilità viene anche da lì e, per quanto vi appaia bizzarro da leggere, c’è un indubbio legame culturale fra il secondo movimento de L’adorazione della Terra (Augures printaniers) di Stravinskij e la nostra amata Mater Tenebrarum. Lasciando queste associazioni apparentemente folli, concentriamoci su alcuni brani concreti dei Necrodeath in cui si possa sentire il basso di G.L. in azione.

Phylogenesis (2009) – I.N.R.I. È uno dei brani in cui la sezione ritmica dei Necrodeath dà prova della sua grande espressività: il basso apre il tema principale ed è evidente il suo ruolo nel guidare la struttura sia ritmica che armonica. La solidità e la circolarità delle linee di basso permettono lo straordinario lavoro alla batteria di Peso, che qui si può ascoltare in una delle sue interpretazioni più libere e fantasiose del secondo corso dei Necrodeath.

Anche in Old Skull (2010), la raccolta di cover che i Necrodeath incisero in occasione dei 25 anni di carriera del gruppo, si sente bene il lavoro del basso, per esempio in Paranoid, dove la sezione ritmica, riarrangiata in stile Necrodeath, lavora sia in unisono che indipendentemente dalla chitarra.

Idiosyncrasy (2011) – Pt. IV: è un brano anomalo per i Necrodeath, perché è una sorta di intermezzo fra la prima e la seconda parte del disco. Molto psichedelico, anche se mantiene la consueta malignità compositiva del gruppo. Il materiale musicale è introdotto e, di fatto, sostenuto dal basso per tre quarti della canzone. In questo caso a giovare dell’accompagnamento pulsante e ipnotico di G.L. è soprattutto la chitarra che, partendo da arpeggi appena accennati, arriva a sfogarsi in lunghi fraseggi, fino al potente groove finale.

The 7 Deadly Sins (2014) – Wrath: agguerritissimo, fa a gara con altri dello stesso disco per il posto di brano più violento dell’album, per esempio Sloth e Gluttony, dato che sono tutti al limite del grindcore. In questa urgenza di aggressione e velocità è soprattutto il basso, grazie al suo timbro, a guidare l’orecchio e a orientarlo nella rapidissima successione delle battute. 

The Age of Dead Christ (2018) – The Master of Mayhem: l’esecuzione è molto rapida e, per forza di cose, molto serrata, tuttavia si sente chiaramente un lavoro di basso perfettamente integrato con la batteria a dare uno sfondo scuro e dinamico, sul quale si muovono gli altri due musicisti. Nello stesso disco c’è anche l’eponima The Age of Dead Christ, per cui vale una cosa molto simile a quello che abbiamo già sentito su Idiosyncrasy pt. IV.

Singin’ in the Pain (2023)The Sweet Up and Down: il basso esegue una frase dall’andamento sinuoso, perfettamente coerente con l’argomento del testo, che viene sviluppata fino alla metà del brano, il quale successivamente cambia, in particolare accelerando e, in questa parte, torna in sezione ritmica insieme alla batteria.

Anche nel recente Arimortis (2025) si ritrova lo stesso approccio al basso che caratterizza gli album precedenti: G.L. fornisce una presenza ritmica costante e solida, lo si sente particolarmente compatto con la batteria, a creare una base ritmica molto coesa, che permette di far risaltare la violenza della chitarra e della voce.

In conclusione, G.L. interpreta uno stile discreto ed essenziale, che non punta a mettere in mostra il basso in quanto tale, ma a garantire compattezza e coerenza al suono dell’insieme. Nel contesto di un gruppo di metal estremo come i Necrodeath, questa scelta stilistica si rivela particolarmente efficace: dal lato armonico il basso lavora insieme alla chitarra, ne sostiene la potenza e contribuisce a creare un muro sonoro di forte impatto, facendo anche da guida per la voce; dal lato ritmico si associa alla batteria, ampliando la percezione del ritmo e della velocità. A questo lavoro prettamente musicale si aggiunge la presenza di G.L. sul palco, sempre energica e sicura, come può testimoniare chiunque lo abbia visto dal vivo.

Spero di avervi trasmesso l’idea che il basso, per svolgere la propria funzione, non deve per forza emergere come strumento in evidenza; per chi ascolta un brano conta di più percepirne la funzione, la sua presenza immanente e decisiva, che sorregge l’architettura musicale e ne definisce l’equilibrio.

Mi raccomando, adesso andate a vedere i Necrodeath, che manca poco. (Stefano Mazza)

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