Alla fiera del saltaspavento: THE CONJURING: LAST RITES
Mentre andavamo al cinema a vedere The Conjuring: Last Rites, non avete idea della quantità di cadaveri di nutrie investite che ho visto lungo la Statale per Crema. In inglese si chiamano roadkill, quelli che Dahmer impagliava come passatempo. Io non la farei mai una cosa del genere, anche se ogni volta ci sto davvero male a vedere il cadavere di un animale investito che imputridisce così, sulla strada. Anche nel caso di quei topoloni, ammazzati da un umano che, che ne so, magari se ne stava andando al cinema. Roadkill è una parola un po’ intraducibile letteralmente, in italiano, salvo ricorrere a locuzioni più complesse. Vuol dire proprio carcassa di animale investito, o così viene usata, ma se volessimo tradurla con una parola sola non saprei proprio quale scegliere (o inventare).

Comunque, Last Rites è (forse) l’ultimo blockbuster del mainstream horror franchise scritto/diretto/prodotto (a seconda dei casi) da James Wan, tutto basata sull’espediente jumpscare. Ora, sapete, Metal Skunk cerca in tutti i modi di contrastare il malcostume dell’uso di anglicismi non necessari. In un’assemblea di redazione ci siamo chiesti anche di come tradurre proprio la parola jumpscare e, dopo alcune proposte poco convincenti, il Mazza ha chiuso la discussione proponendo il neologismo tolkieniano SALTASPAVENTO. Bene, il saltaspavento è quando in una scena buia e silenziosa d’improvviso salta fuori dal buio un qualcosa (un mostro, una vecchietta) con dei suoni altrettanto improvvisi. Espediente vecchio come mio nonno, ma centrale nella corrente principale del cinema dell’orrore contemporaneo. Ora, si può fare i sostenuti e sostenere che sia un espediente da ragazzini per tenere in piedi un film, e sarei anche d’accordo. Ma che male c’è a fare un “semplice horror”, dico io. La serie di The Conjuring in fondo non è male, io all’inizio ero molto diffidente e snob, ma tiene botta. Fa il suo, la storia è quella lì, gli ingredienti sono quelli lì e per due ore al cinema vanno benissimo. Stavolta dovrebbe essere l’ultima e ti aspetti quindi davvero il botto. Quindi, che so, che i Warren incontrino proprio il Demonio, che Valac riveli di essere la mamma di Lorraine, che faccia capolino Lord Voldemort in un improbabile incrocio angloamericano. O più semplicemente ti aspetti che sia il capitolo più spaventoso di tutti, quello che ha convinto i Warren a smettere.

In realtà, insomma, capisci che i Warren hanno smesso perché più che altro si sono resi conto che alla figlia hanno già rovinato la vita (carina, lei, a dirla solo tra le righe, questa cosa) e non possono rovinargli pure il matrimonio. In fondo è una serie dai sani principi e i valori sono sempre la famiglia, Dio e gli Stati Uniti d’America. E poi Ed un altro infarto non può permetterselo. “Basta cazzate”, gli dice il medico, intendendo che è ora di finirla con gli esorcismi e i cibi pieni di colesterolo. Se avete visto gli altri capitoli della saga sapete benissimo cosa aspettarvi, più o meno nei minimi dettagli. Case infestate prima da famiglie di cattolici che si riproducono come nutrie, poi da demoni, fantasmi e vecchiette malefiche. L’Orrore si trova nella soffitta o nello scantinato o in entrambi. Gli specchi non sono quello che sembrano. Alcuni dati tecnici: in Last Rites c’è una sola croce rovesciata, due sole croci che prendono fuoco (se si escludono i titoli di coda) e anche una Bibbia. Non moltissimo, forse, a riprova del fatto che si tratta di un capitolo forse più malinconico e crepuscolare degli altri. Ecco, la cosa (particolarmente) bella di questo capitolo qui è l’ambientazione, quei sobborghi proletari e minerari della Pennsylvania, con le casette vista ciminiere e gli anni ’80 rappresentati particolarmente bene, così bene che pare di vederci Bruce Springsteen a passeggio tra i bidoni dell’immondizia. Forse gli anni ’80 messi in scena stavolta sono anche meglio delle altre rappresentazioni di tendenza (vedi Stranger Things e compagnia fluo).

Ti ci senti proprio in quella realtà sottoproletaria, in quella tristezza opprimente. Cioè, io non ho la più pallida idea di come fosse per davvero un sobborgo minerario della Pennsylvania nel 1987, ma penso che la produzione si sia davvero presa la briga di essere realistica. Ci sono pure i Cult nella colonna sonora. Forse pure il fatto che sul letto della ragazzina campeggino i poster di Madonna e Morrissey uno affianco all’altra è realistico. Che ne so, io, di cosa ascoltava un adolescente per davvero ai tempi. Ma pure oggi, che credete, voi non avete idea di cosa ascolti Gabriele Traversa insieme ai Cradle of Filth. Quindi niente, la bellezza del film è praticamente tutta lì e anche scenografia e fotografia e luci sono suggestive e poco (o niente) artificiali o plasticose. O meglio, non credo che si siano presi la briga di girarlo su pellicola, ma l’effetto è venuto comunque particolarmente bene, non una pecionata. Che ne so, magari l’intelligenza artificiale aiuta. Comunque, The Conjuring: Last Rites è un buon film, in fin dei conti, e, se non ve ne frega un cazzo di niente delle partite di pallone tutti i giorni a tutte le ore, vale la pena prendere la macchina e mettersi sulla Statale per andarlo a vedere al cinema (attenti alle nutrie che attraversano la strada, vi prego). Ogni tanto viene fuori una vecchietta dal buio a farvi “BUH” e un sussulto o una imprecazione trasfigurata ci riesce a tirarveli fuori. Che altro si pretende da un blockbuster? (Lorenzo Centini)

Jumpscare in perugino = stolzo
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Saltaspavento mi ricorda le autarchiche traduzioni di Fascisti su Marte.
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È anche una sorta di inside j… CELIA INTERNA.
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A me pare il nome di un giocattolo pubblicizzato nella fascia oraria di Bim Bum Bam negli anni 90 su Italia Uno. In pratica una sorta di Pirata Pop Pop.
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