BAEST – Colossal

A fine 2020 mi sono trasferito in provincia di Milano, tra gli altri motivi perché avrei avuto molte più possibilità di vedere concerti rispetto a dove vivevo prima. Il primo a cui partecipai fu un paio di anni dopo, al Legend, ed era dei danesi Baest. Non potevo cominciare con un concerto migliore: la band era appena uscita con un album stupendo, Necro Sapiens, io ero in prima fila, e me lo sono goduto come pochi altri concerti nella mia vita. Loro dal vivo sono davvero divertenti; bevono parecchia birra, ridono, scherzano tra di loro e col pubblico, e suonano alla grande.

Prima di Colossal, i Baest, pur essendo danesi e suonando death metal, non avevano un suono propriamente di quelle parti. Il loro death metal doveva molto ai Bolt Thrower, per dire. E anche un po’ agli Obituary, secondo me. Poi che ci fosse anche qualche influenza regionale è indubbio, ma non era prevalente. Tutto sommato, io li ho sempre trovati abbastanza originali, nel loro piccolo.

Con Colossal, quarto disco intero, i Baest cambiano stile. Suonano sempre death metal, alla base, ma le melodie e l’andamento generale sono spostati decisamente verso l’heavy metal da stadio. E, gente, gli riesce proprio bene. Vi dirò che personalmente speravo in uno spostamento verso qualcosa di più semplice e immediato, poiché credevo che gli sarebbe venuto bene e li avrebbe aiutati a ottenere più attenzione. Perché, sì, facevano del bel death metal, vecchio stile eppure moderno, però sempre un filo troppo complesso.

Sui dischi precedenti c’era infatti sempre una sproporzione tra i singoli estratti per la promozione e gli altri, dove i primi risultavano subito orecchiabili e apprezzabili, mentre gli altri si perdevano talvolta in arrangiamenti troppo arzigogolati, per essere death metal che, in fin dei conti, non era né prog né tecnico. Con un po’ di pazienza i dischi crescevano, e difatti a me piacciono molto tutti e tre, ma non nego una certa fatica nell’ascolto iniziale.

Su Colossal, innanzitutto, la sproporzione tra i singoli e il resto scompare. I brani si fanno apprezzare tutti subito per la loro orecchiabilità, tanto che il disco è stato anticipato da ben 5 singoli, su un totale di 9 canzoni. C’è pure un brano strumentale in pieno stile anni ’80 dove è la chitarra a essere protagonista con un lungo assolo (non immaginatevi robe estreme alla Van Halen, ma lo stampo è quello). Ciò che cambia veramente non è la voce, che rimane in growl lungo tutto il lavoro, ma le melodie di chitarra e di conseguenza anche la sezione ritmica, che punta a groove più dritti e asciutti. Come dire, mi sembra che ora suonino un genere più nelle loro corde. Un genere col quale divertirsi a fare i cazzoni quanto gli pare.

La tendenza dei Baest di complicare un po’ più del dovuto le canzoni rimane, ma molto meno rispetto a prima e, per lo meno, non si dovrà spendere una marea di ascolti per ricordare i brani. L’atmosfera generale, inoltre, si sposta da quella cupa e incazzosa del death metal a quella più divertita e epica di un certo metal classico. Il cambio stilistico è netto, ma la band non perde un briciolo della propria personalità, e, per quanto mi riguarda, questo è di gran lunga il loro lavoro migliore. (Luca Venturini)

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