Avere vent’anni: MANILLA ROAD – Gates of Fire

I Manilla Road lasciano sempre attoniti per la loro serietà, per il loro stile unico e per la loro voglia di raccontare storie fantastiche. Se ci conoscete da qualche tempo, sapete che con loro siamo assai più celebrativi che critici e vi avviso, pertanto, che questo ricordo seguirà la tradizione di Metal Skunk.

Gates of Fire appartiene al secondo corso del gruppo, quello inaugurato da Atlantis Rising (2001): prosegue su quelle basi che Mark Shelton fondò in quell’occasione e che sviluppò in Spiral Castle (2002), di cui vi abbiamo parlato nelle sedi opportune. Uscito sotto la Battle Cry il 25 luglio 2005, Gates of Fire è il tredicesimo album dei Manilla Road. La formazione che affiancò Mark Shelton, che al solito si occupava di chitarra e seconda voce, era composta da Bryan “Hellroadie” Patrick alla voce solista, Harvey “The Crow” Patrick al basso e Cory “Hardcore” Christner alla batteria. Il disco venne registrato presso i Midgard Sound Labs a Wichita (Kansas), dai quali risultò un suono diretto, piuttosto scuro, invece chiaro nella riproduzione degli strumenti, ma senza sforare mai nel troppo nitido, altrimenti non sarebbe stato adeguato per raccontare storie così antiche.

Gates of Fire, come gli altri dischi dei Manilla Road, richiede una certa attenzione: non va solo ascoltato, ma anche guardato, letto. È un disco che va contemplato, altrimenti si rischia di non cogliere una buona parte dell’opera, che è ovviamente musicale, ma la musica ha anche la funzione di accompagnare la parte letteraria del lavoro, come tutto il buon epic metal, del resto, deve saper fare. A questo proposito, l’illustrazione di copertina è fortemente simbolica e ci indica che nell’opera ricorre il numero tre: tre triangoli intrecciati, che ricordano un simbolo della tradizione nordica, i quali rimandano a tre storie e in effetti la narrazione si articola in una precisa trilogia di racconti distinti: The Frost Giant’s Daughter, ispirato all’omonimo racconto di Robert E. Howard; Out of the Ashes, ispirato all’Eneide di Virgilio e Gates of Fire, che racconta la resistenza spartana alla battaglia delle Termopili. Quindi abbiamo letteratura fantasy, epica classica e storia. 

Ogni capitolo ha uno stile leggermente diverso rispetto agli altri ed è composto da tre canzoni, per l’appunto. Il primo, The Frost Giant’s Daughter, è composto da tre brani che risultano maggiormente immediati e potenti, cadenzati, essenzialmente epic metal, concentrati sul racconto musicale e sull’impatto. Nel secondo trittico, Out of the Ashes, troviamo tre brani di lunghezza maggiore, in particolare The Fall of Iliam, che dura oltre i quattordici minuti. Qui il gruppo espande le composizioni e anche le sonorità, che si fanno più aggressive e oscure, ma anche più variegate, con alternanza di chitarre distorte ed arpeggi acustici, così come di voci in growl e voci naturali, tanto che si potrebbe perfino pensare di parlare di progressive, ma in realtà si tratta dell’indole fortemente narrativa di un lavoro come questo, che richiede tempi più dilatati per esprimersi. Il capitolo finale che chiude il disco è l’eponimo Gates of Fire, il quale ritorna su tempi di marcia e su atmosfere marziali, com’è giusto che sia quando si racconta di guerre, tradimenti e tragiche sconfitte, sempre con il grande onore delle armi. A chiudere il terzo trittico e il disco tutto c’è una ballata, che suona come un’elegia a suggellare la drammatica fine degli Spartani e dell’opera stessa.

Gates of Fire rimase uno degli album più interessanti dei Manilla Road dei Duemila: un’opera dalle tinte scure, che racconta storie antiche e delle quali va tenuto debito conto per comprendere l’andamento musicale dei brani. Come ha ricordato Barg, grande esegeta del gruppo di Mark Shelton: “Parlare dei Manilla Road descrivendone solo la musica sarebbe davvero riduttivo”. E così è: le strutture a volte lunghe e dilatate di questi brani servono a immergersi nel racconto scritto nei testi, seguendo un perfetto intreccio di musica e mito, il che di per sé è una concezione antica della musica. Questo ha sempre reso i Manilla Road un gruppo non immediato da capire, perché alcune ripetitività possono mettere alla prova l’ascoltatore, ma l’intenzione compositiva e la passione che traspaiono rendono questo lavoro un altro capitolo ragguardevole nella loro discografia. (Stefano Mazza)

2 commenti

  • Avatar di Hieiolo

    Grandi Manilla!!!Sempre un ottimo ascolto!!

    p.s. piccola richiesta: sono un grande amante della telenovela di Timo Tolki… è tanto che non scrivete piu’ niente.. Ci sono aggiornamenti?

    Sempre a proposito di telenovelas ci sarebbe anche la faida Filth / Smerda che sarebbe degna di un bello special.

    Scusate per le proposte da ” gossipparo”, ma i vostri special per me sono spettacolari!!

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  • Avatar di SimonFenix

    Band che adoro, ho tutte le ristampe dei loro album pubblicate dalla Golden Core Records e attualmente sono ferme a Spiral Castle da 3 anni, spero riprendano anche se non fanno che tirare fuori decine di compilation di artisti vari e ristampe in CD e vinile di demo di gruppi sconosciuti che non sono usciti dalla sala prove spacciandoli per cult band.

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