Thrash metal per scappare dalla moglie: VULTURE BLOOD – Circle the Skies

Il panorama metal mondiale si sta arricchendo di una curiosa categoria cui finora avevamo dato uno scarso peso: quella dei finti debuttanti. Ci sono innumerevoli gruppi che non hanno inciso proprio niente, apri la pagina su Encyclopaedia Metallum e risulta che si sono effettivamente formati nel 2022. Una demo, un paio di singoli, un curriculum del genere. Poi clicchi sulla foto e inesorabilmente è gente di quaranta o cinquanta anni. Ma attenzione a quello che sto per dirvi.

Non è gente di quaranta o cinquanta anni tipo Flo Mounier dei Cryptopsy, che suona con un gruppo da metà anni Novanta e ha una discografia invidiabile alle spalle, e che all’improvviso ha formato il progetto nuovo per guadagnar qualcosa in termini di libertà creativa. Signori, questa è tutta gente di quaranta o cinquanta anni che per scappare dalle mogli si è messa a suonare, tardi, ma mai troppo tardi.

I Vulture Blood, californiani giusto per qualche chilometro, altrimenti li chiameremmo messicani, sono il progetto nato dalla mente di Andy Robinson, chitarrista, già nei Lords of Dust. Se andate sul profilo Facebook il quadretto che ne deriverà non sarà dei migliori: c’è scritto tre follower. Ma se cliccate sul link al sito web ufficiale giungerete in un attimo a una interessantissima press bio. La quale recita che Vulture Blood è un progetto di registrazione a porte girevoli per musicisti ospiti. In pratica significa due cose: che gli piacciono i Death, e che non gli piace altrettanto pagare le royalties. Ma in virtù di quei tre follower al momento non me ne preoccuperei troppo.

Circle the Skies è il loro EP di debutto ufficiale: in realtà racchiude alcuni singoli già pubblicati lo scorso anno, a cui si sommano due inediti veri e propri. La formazione è interessante poiché non presenta punti di cedimento. Le chitarre hanno una meravigliosa alchimia e sparano riff fatti di roccia. Il cantante è una via di mezzo fra Cesare Carrozzi e il sindacalista che mi seguiva alcuni anni fa. La sezione ritmica è essenziale e possente. Il loro batterista è stato un membro abbastanza recente di un gruppo che all’epoca collezionavo con grande piacere, i Deliverance, una roba di fine anni Ottanta. Ma lui ci ha suonato nel decennio scorso, per cui è senz’altro scappato dalla moglie.

Lo stile è un thrash metal aggressivo contornato di hardcore. L’intenzione di Andy Robinson alcuni anni orsono era proprio di suonare hardcore punk. La risultante è stata questo thrash metal, per nulla anacronistico, per nulla identico a un qualcosa per cui si griderà automaticamente al nome dei Power Trip, dei Sacred Reich o dei Suicidal Tendencies mediani. What’s in my Head a proposito di hardcore punk ha un finale semplicemente da urlo, con cori e quant’altro. La conclusiva In the Hands of Butchers almeno in principio è dominata dal tremolo picking e pertanto la sentirei per pomeriggi interi.

Ottima l’attenzione alle grafiche. La copertina dell’EP riprende le tematiche geografiche già espresse all’occasione del rilascio del singolo Hypocrites. Ognuna fra quelle pubblicate merita in realtà un’occhiata, per cui fatevi un salto sulla pagina social, autoproclamatevi quarto follower e dategli un’occhiata. Lunga vita al thrash metal californiano. (Marco Belardi)

 

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