Oscurità, l’ultimo viaggio de L’IMPERO DELLE OMBRE
Non credo sia il caso di parlare di “nuova vita” in merito all’ultima uscita di un complesso che, tra le tante cose belle, ha sempre avuto un particolare riguardo in merito alla morte. E che questo disco qui, l’ultimo, lo avvia con otto minuti intensissimi intitolati Il Mio Ultimo Viaggio. Riguardo a L’Impero delle Ombre pare fosse addirittura lecito sospettare che futuro non ci sarebbe stato. Ma dall’ascolto dei solchi, digitali o meno, di questo questo album, intitolato laconicamente Oscurità, solchi particolarmente freschi (e no, non è solo per il naturale refrigerio delle cripte e delle catacombe), viene naturale non abbandonare del tutto la speranza di un prosieguo di livello, pur non rinunciando noi ad entrare nei gironi infernali che i pugliesi evocano ancora una volta. Un incipit, quello de Il Mio Ultimo Viaggio, che porta tutto il concetto di rock cimiteriale ad un livello superiore. Già, perché, detto semplicemente, Oscurità non è un disco degno della loro carriera. No. Forse è il migliore, il più compiuto, il più sonoramente soddisfacente e coinvolgente. Il più inesorabilmente deprimente. Non cambia praticamente nulla nella formula del gruppo, quella commistione di doom metal, shock rock goticheggiante e prog che i Nostri però non chiamano italian dark sound, forse per umile reverenza, preferendo appunto chiamarla cemetery rock. Forse per rimarcare la prevalenza del lato chitarristico su quello sperimentale.

Anche a livello estetico ed “ideologico” (o, meglio, narrativo) siamo perfettamente in linea con i racconti macabri degli episodi precedenti. Ci sono omaggi letterari a Poe (Il Gatto Nero) e a Lovecraft (Dagon), a certo cinema italiano (Macara, in musica quello che in immagini è Il Demonio di Brunello Rondi). Il finale (spoiler) con Circolo Spiritico Navona 2000 evoca le atmosfere de Il Segno del Comando, anche riprendendone letteralmente temi e suoni di chitarra classica. La Taverna del Diavolo pare una storia di immaginazione, poi cercando riaffiora la storia della vera (vera?) Taverna del Diavolo, nei dintorni di Firenze, affrescata con eserciti di diavoli e, pare, casa base di un circuito di guardoni, in quegli anni lì. Chissà. Brano tra l’altro aperto da un grido di terrore, poi doom duro, oscuro e sulfureo che, vista anche la suggestione toscana, mi fa tornare in mente i Legionem (speriamo si rifacciano vivi anche loro). Oscurità infatti suona doom, rock, metal. Non che prog e atmosfera siano banditi, anzi. Si amalgamano però attorno ad un’ossatura dura già magniloquente di suo. L’equilibrio migliore è forse in Zulphus et Mercurius, hard rock con tanto di spinetta, clavicembalo o quel che è. Ma la verità è che Oscurità è un disco composto da brani che funzionano perfettamente anche isolati, ognuno compiuto ed evocativo. Tutti insieme compongono diversi capitoli di un corpus unico, un altro, ennesimo viaggio nella nostra anima più oscura. L’ultimo? (Lorenzo Centini)
