La finestra sul porcile: L’ETERNAUTA

Con tutte le storie di merda che si incontrano su film e serie prodotti in batteria, riprendere lo storico capolavoro del fumetto di Héctor Oesterheld effettivamente era cosa sacrosanta. Strano non ci avesse pensato nessuno prima, non fosse altro che per diffonderne il culto. Ora, io non sono un esperto di fumetto, né un collezionista, ma L’Eternauta (almeno l’originale e il “remake” con le chine di Breccia, il resto non so, ignoranza mia) è un capolavoro indiscutibile, ben al di fuori dai confini del media (il fumetto) e di quelli nazionali (Argentina). Quindi, appena Netflix me lo ha proposto, mi ci sono gettato con una certa impazienza. E contate pure quanto potessi essere gasato, già in apertura del primo episodio, coi protagonisti che continuano a mettere su dischi argentini degli anni ’70, Manal, El Reloy, Pescado Rabioso, Billy Bond & la Pesada del Rock’n’Roll. Nell’ultimo episodio nella colonna sonora compaiono pure gli Orion’s Beethoven. Ma andiamo per gradi, e poi, comunque, oggi non parliamo di rock argentino. Ma lo faremo presto, spero.

L’Eternauta è un prodotto Netflix argentino e, a conti fatti, misurare la distanza tra le produzioni nostrane e quelle di una qualsiasi altra nazione mondiale presa a caso comincia ad essere un esercizio noioso e ripetitivo. Parte benissimo, la serie. Per la musica, come dicevo, ma non solo. Ambientata ai giorni nostri, anziché negli anni ’50, la contestualizzazione non risparmia da subito le fratture e i disordini sociali dell’attualità del Paese, forse frutto di un società comunque globalizzata ma anche di un progresso sociale che, necessariamente, ha dovuto procedere nei decenni per strappi bruschi e altrettanto brusche retromarce. Ma è questione di minuti e poi la storia prende l’avvio, con un gruppo di vecchi amici, borghesi sulla sessantina, che si incontrano per una partita a carte. E poi arriva la nevicata. No, non sarebbe un grande spoiler, essendo proprio l’incipit (anche il trailer vi rovinerebbe la sorpresa), ma si sa mai che decideste di vedere la serie sapendone nulla, manco sapendo che aspetto abbia il fumetto.

Beh, comunque ne varrebbe la pena. Attualizzare la storia era forse una necessità, anche per non vanificare l’angoscia che L’Eternauta mette (o dovrebbe mettere) in corpo. L’inizio della serie si può dire che sia riuscito. Ok, lo spaesamento e quel senso di inquietudine che deve mettere quell’inizio così, inaspettato, drammatico e misterioso andava necessariamente attualizzato. Poi, sensazione mia, le logiche della serialità moderna non avrebbero comunque permesso il dilungarsi, nel fumetto, nella ricerca delle tecniche e degli stratagemmi, rischiosi e talvolta infruttuosi, che mettono insieme i protagonisti per sopravvivere nell’immediato alla disastrosa calamità. Cioè, nella serie a un certo punto sembra tutto facile (un telo di plastica sulla testa e via), ma immagino che, se si fosse dilungata di più in discussioni tecnico/scientifiche tra i protagonisti, tre quarti dei telespettatori sarebbero passati subito a Squid Game. Però era la bellezza del fumetto, per me. Quel senso di paura e sospensione, quelle prime ore incredibilmente lunghe, incredibilmente pesanti, il dover rinunciare a qualsiasi gesto automatico, anche fosse bere un bicchiere d’acqua, per chiedersi se può causarti la morte oppure no. Ma, ripeto, non puoi pretendere dilatazioni eccessive nelle serie di oggi. Con Too Old to Die Young Nicolas Winding Refn se ne è fregato del ritmo, ma non fa testo, e comunque pure io non ho retto già al secondo, stilosissimo episodio.

L’Eternauta è sicuramente un prodotto più convenzionale e meno autoriale, ma sicuro gode di una produzione e di un comparto tecnico (anche riferito alle prestazioni degli attori stessi) di tutto rispetto. Anzi. Quando Juan, il protagonista principale, riesce finalmente ad avventurarsi fuori casa, la messa in scena di una capitale, Buenos Aires, letteralmente immobilizzata da gelo e morte, vale sicuramente la visione. Poi, sinceramente, la storia prende progressivamente una dinamica più convenzionale, oggi, visto che il proliferare nei decenni di storie di apocalisse e di sopravvivenza (da L’Invasione degli Ultracorpi al recentissimo Last of Us) ha fornito un bagaglio di soluzioni, talvolta ripetitive, che agli occhi dello spettatore possono vanificare l’impatto delle scelte narrative del fumetto originale (pubblicato, ricordiamolo, tra il ’57 e il ’59, praticamente settant’anni fa). Poco male, comunque. Un buon prodotto di intrattenimento è sempre gradito.

L’Eternauta non lesina comunque spunti sociali che il fumetto di Oesterheld già offriva: l’anarchia sociale che segue la catastrofe, l’altro sopravvissuto come potenziale minaccia, la diffidenza nei confronti dell’organizzazione militare, unica forma di opposizione concreta al pericolo più grande, ma a che prezzo (altro topos poi diventato standard, si pensi a 28 Giorni Dopo). A proposito di militarismo, la serie aggiunge pure una ferita ancora viva per l’Argentina odierna, assente per ovvie ragioni nella trama di Oesterheld (scomparso nel ’77 sotto la dittatura militare e criminale di Videla), ovvero la guerra delle Malvine/Falkland. Certo che l’angoscia per un futuro in cui il destino di tutti dipende dalle decisioni dei militari è uno dei caratteri distintivi già dell’opera originale. Così come ne faceva parte quel senso di continua ed ineluttabile catastrofe, la vanificazione continua di qualsiasi speranza ed il precipitare continuo in una disperazione sempre maggiore. Ma la serie, solo sei episodi, non arriva nemmeno a metà del fumetto originale (su per giù), una seconda stagione pare ci sarà e il gran bel finale di questa qua, con umani disumanizzati e mani con troppe dita, riesce benissimo a far venire la voglia di aspettare per vedere se il seguito renderà ancora giustizia all’opera originale. (Lorenzo Centini)

12 commenti

  • Avatar di weareblind

    Non ho visto la serie, ma la sua pubblicità mi ha fatto scoprire il fumetto, che comprerò.

    Segnalo un (come sempre) ottimo podcast del professor Barbero sulla guerra delle Falkland.

    Segnalo anche un capitolo del fumetto The Boys sulla stessa.

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    • Avatar di Antonio

      Per la verità la canzone con cui inizia la serie, non citata nell’articolo, è una canzone di un cantautore italiano: Paesaggio di Franco Simone, nella traduzione con cui fu pubblicata in Argentina. E credo sia il caso di nominarlo, perché un pizzico di orgoglio non guasta, dato che si tratta di una serie internazionale. Nel quinto episodio la stessa canzone ritorna col ritorno della figlia di Juan, forse perché nel testo si fa riferimento alla neve?

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  • Avatar di Old Roger

    Non avendo Netflix , non vedrò la serie. Il fumetto è una vita che dico che devo comprarlo..penso sia arrivato il momento.

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    • Avatar di weareblind

      Io come te.

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    • Avatar di El Baluba

      ho visto la serie senza aver letto il fumetto (che però a questo punto vorrei comprare) e non mi è dispiaciuta. Meglio le prime puntate, con quel senso di ignoto e attesa che mi aveva messo addosso un bel senso di malessere. Poi secondo me perde parecchio con il primo approccio con (non spoilero oltre). Curioso di vedere come prosegue.

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  • Avatar di Uallallera

    sull’antimilitarismo e la diffidenza verso i corpi di stato the day of the dead dell’immortale George Romero

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  • Avatar di Danka

    La serie è una delle cose più deludenti viste negli ultimi anni.
    Partita benino, già a metà della seconda puntata mostra i suoi limiti.
    Sceneggiatura ai limiti del ridicolo, prove attoriali che non fanno che sottolineare la mancanza di dialoghi all’altezza. Ciò che ne consegue è una quasi totale assenza di spinta emotiva sullo spettatore per una pellicola che se non ne ha non può che stentare e farti pensare “perchè lo sto guardando?”
    Più che si va avanti più che l’ingresso di ogni personaggio diventa un boccone da aspettare con timore. La loro caratterizzazione va dall’assente al banale.
    Le ultime tre puntate le ho viste più per curiosità personale sul punto fino a cui si sarebbero spinti che per semplice voglia di arrivare in fondo. Peccato perché la storia che il fumetto ha lasciato sarebbe stata un’ottima base.

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    • Lorenzo Centini
      Avatar di Lorenzo Centini

      Diciamo che son partito da due assunti. Il primo è che non avrebbero mai potuto essere al livello del fumetto, per differenze sostanziali di media ed epoche. Al massimo avrebbe potuto trattarsi di “buon intrattenimento Netflix” (detto senza disprezzo) che non avrebbe infamato la storia originale. Così mi sento di dire che è stato. Il secondo, partendo dal pregiudizio secondo cui gli argentini sono “nostri cugini prossimi”: mi aspettavo più soap opera e sussurri lamentosi “tipo Accorsi” e recitazione da cani tipo I prodotti Netflix nostrani. E qui sono rimasto comunque sorpreso.
      Comunque, il primo punto secondo me è fondamentale: non mi sarei mai aspettato quella tensione lenta e sconcertante del fumetto, avrebbero dovuto dedicare un intero episodio alla costruzione della tuta, per dire. Impensabile per una piattaforma cui interessa solo il successo immediato di un prodotto o quasi.

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    • Tiziano Lamporesi
      Avatar di Tiziano Lamporesi

      Dopo un promettente inizio, purtroppo l’ Eternauta è un prodotto deludente.. La conclusione poi della stagione è un episodio senza senso. Sarebbe stato bello una sola stagione di 10/15 episodi e fedeli al fumetto…. Tristezza

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  • Avatar di Bonzo79

    il fumetto originale è un capolavoro, anche se visivamente molto datato. il rifacimento coi disegni del dio Breccia e i sottotesti politici espliciti anziché solo accennati è un altro capolavoro.

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  • Avatar di nxero

    Per me, insieme a Maus e pochi altri, uno dei più bei fumetti di sempre, mi piaceva anche il tratto decisamente naif con cui era disegnato. Ho molta paura a guardarlo ma alla fine penso che lo farò.

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  • Avatar di Pablo Rivas

    Piccola nota al margine: la musica non è attuale, ma sono band rock argentino dei primi anni 70, coherenti anche con le automobili utilizzate. Anche i riferimenti scenografici, arredi, vestiti e linguaggio coincidono con i primi anni 70, prima della dittatura militare di Videla and co. (1976).

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