Marcissima Danimarca: GABESTOK – Alle Dør I Fremtiden
Qualche anno fa, due tizi punk, pure un po’ hippie, si sono intrufolati di soppiatto dalla porta sul retro, salendo sul palco lasciato incustodito. Uno si è sistemato dietro ad un set di batteria essenziale, l’altro ha attaccato una chitarraccia a un ampli di basso e insieme hanno iniziato a rovesciare su quanti rimasti in sala una caciara fatta di black metal, punk e psichedelia. Di più: kraut e tastieracce, melodie da metallo epico e marciume underground anni ’80, con un suono di bassissima fedeltà, come chi in quel decennio lì cominciava a sperimentare con l’estremità musicale, ma anche fangoso come quello di chi, pochissimi anni dopo, cominciava a proporre una forma di rock selvaggia e boscaiola nel Nord-Ovest americano, prima che venisse levigata e messa in copertina. Melodie da metallo epico, dicevo, tipo a tratti certi Bathory, ma con strilla e falsetti molto danesi. Già, perché i due, dimenticavo, sono proprio danesi e sono pure in fissa con le atmosfere horror dei film anni ’60 e ’70, atmosfere che in questa confusione goduriosa cercano sempre di far rivivere. E si sono pure dati un nome, Gabestok, la parola danese che significa gogna, quel pezzo di legno in cui ti facevano infilare testa e mani e ti lasciavano a marcire coi corvi e il fango che ti tiravano i passanti. E quindi no, avrete capito, ai Gabestok interessa ciò che è marcio, certo non le ribalte patinate. E sfornano dischi che quindi hanno bandito in partenza qualsiasi idea di compromesso. Alle Dør I Fremtiden è il quarto (o quinto, mi pare di capire, se contate gli esordi su Ep), e in pochissimi anni sono diventati un nome nel sottobosco danese, credo, o comunque lo meritano. E, come accennavo in precedenza, li diffonde la londinese Crypt of the Wizard. Che, se c’è del marcio inclassificabile, ci si fionda subito.

La definizione di maelstrom, per questi trenta minuti di chaos metal/punk, calza a pennello. Le canzoni ci sono, ma tra cavalcate western, distorsioni e spedizioni cosmiche, pare naturale volerlo assorbire tutto, nella sua interezza, senza interruzioni. Sci-fi e lo-fi, Alle Dør I Fremtiden pare proprio il caos che vorremmo in sottofondo ad un film exploitation coi controcazzi. La componente black metal serve a raccattare tutto il marcio possibile dal fondo di qualsiasi barile. No, non troverete tremolo picking, arpeggini ed estetica da black atmosferico. Ovviamente nemmeno gli assalti più duri ed oltranzisti. Perché comunque ai Gabestok sembra che dell’ortodossia non possa fregargliene di meno e mescolano, mischiano le carte, come quando metti insieme tanti colori diversi e una volta che hai finito la miscela viene fuori solo quel marroncino acido che non vi fa venire in mente nulla di bello. Ai Gabestok non interessa il bello, il pulito. Suonano marci E vitali, trasformano tutte le influenze, svariate ed eterogenee (ma tutte ottime), in una musica dalla forma indefinibile, comunque costantemente in evoluzione oltre la forma canzone, anche se melodie, riff e cori vengono fuori, eccome.
L’apice a questo giro è il brano conclusivo dei sei, Ildånden (Den Knitrende Fortær), che riempie da solo un terzo della durata del disco. Parte come la marcia con cui avanza un’armata di orchi-vichinghi, resta sospesa qualche tempo in un’atmosfera boreale aliena e sbagliata, poi si lancia per tre minuti in un assalto forsennato e insensato, insistito, ripetitivo, alienante, cosmico. La bellezza di questa musica sta tutta in questi nove minuti, voleste provare da un pezzo solo, tanto per provare. Non so se mi spiego, se desiderate anche voi sopravvivere fra dischi-fotocopia minchiate spacciate per oro, gente mascherata, scene intere che si basano su un’idea soltanto, vecchie volpi riconvertite all’AOR e altri segnali che testimoniano che l’Apocalisse è vicina… Beh, insomma: per sopravvivere al mare di palta che ci bombarda, bisogna andarsi a scovare chi ancora fa musica viva. Tipo i Gabestok. (Lorenzo Centini)
