Quarant’anni fa The Return dei Bathory marchiò a fuoco le anime di una generazione

Quand’ero ragazzino – e santo cielo, nel 1985 io ERO un ragazzino – i nostri genitori erano soliti elargirci una paghetta settimanale; nulla di iperbolico, 10 mila lire (perlopiù la media era quella), che corrispondono più o meno ai 10 euro di oggi, per comprarsi la merenda quando si faceva lo spezzato a scuola o cose simili. Questo nei loro pii desideri, perché generalmente quei soldi venivano sputtanati nei modi più disparati: chi se li fumava in sigarette, chi se li scofanava in pizza o nelle prime paninoteche che facevano tanto trendy-americano, dove se chiedevi un frappè ti guardavano con occhi interrogativi perché avresti dovuto ordinare un milk-shake (la stessa cosa, ovviamente); la maggior parte li spendeva nelle sale giochi, cercando di diventare il più forte giocatore del mondo di Space Invaders o Tron o qualche sparatutto nuovo di zecca. Io me li spendevo in dischi: se magari saltava fuori qualche mancetta extra, o si integrava con qualche colletta il sabato pomeriggio in via Roma – il classico “hai moneta che ho dimenticato il portafoglio e devo comprare il biglietto del treno per tornare a casa” – riuscivo ad accaparrarmene quattro al mese. Se andava male tre, ma poi il mese dopo avevo il tesoretto del resto e ne acquistavo uno in più. Bei tempi, i vinili costavano tra le 11 e le 14mila lire.

Il sabato pomeriggio era pertanto obbligatoria la tappa da Rock’n’Folk in via Viotti. Non c’era voluto molto ad entrare in sintonia con i metallari che stazionavano fissi davanti al negozio tracannandosi qualche birra e parlando di questo o quel gruppo. Come ho scritto nel quarantennale dei Bulldozer, s’era fatta comunella con la ciurma e ci si scambiavano le registrazioni dei dischi, era un investimento: ne compravi quattro ma, grazie alla “solidarietà metallara”, alla fine tutti avevano (quasi) tutto, me compreso. Non originale, ma a quei tempi c’era poco da fare gli schizzinosi, e poi comunque col tempo ci sarebbe stata occasione di recuperare. Intanto potevi ascoltare la musica, ed era quello che contava veramente, ché poi tanto i dischi fighi alla fine se li compravano tutti. Notate qualche differenza con i grami tempi odierni?

Io ho sempre sostenuto che metallari si nasce. È solo questione di tempo, ma prima o poi l’indole viene fuori e ti porta sulla strada che sei sempre stato destinato a percorrere. A 13 anni ero incazzato con il mondo intero, ogni giorno di più, per una miriade di motivi che non sto a spiegarvi. Di certo non ero un compagnone, a scuola mal sopportavo i miei compagni che ai miei occhi erano degli autentici imbecilli, che non mancavano mai di disprezzare la musica che io ascoltavo, quindi l’emarginato ero io. Questo mi portava a cercare musica che fosse sempre più violenta, in modo che gli imbecilli potessero inorridire in sempre maggior misura. Per poi scoprire che più il metal che sceglievo era violento più mi piaceva; non era solo un vessillo, una ritorsione pur-che-fosse, ce l’ho proprio sempre avuto nel sangue. Distinguermi dalla massa, andare dove gli altri non vanno, apprezzare ciò che la maggioranza snobba e denigra.

Chi meglio dei Bathory, quindi? Già, perché a meno che non abbiate più o meno la mia età ed allora dovreste ricordarvelo, i Bathory nei primi anni della loro esistenza erano schifati dagli stessi metallari, in modo anche pesante persino dai thrasher più convinti, non parliamo poi di quelli che preferivano la NWOBHM ed al massimo si inoltravano nello speed di Accept e simili. Io ho un’altra testa: se qualcosa non piace a nessuno allora fa al caso mio, e così comprai The Return. Alla cieca, perché Bathory non lo avevo mai ascoltato; sapevo però, leggendo H/M e ascoltando i discorsi dei “grandi”, che il gruppo era molto meno che ben visto: a me questo bastava, a me sarebbe piaciuto per forza; cosa rivelatasi poi vera al primo ascolto, non era ancora neanche finito e io già tentavo di imitare la voce raschiandomi la gola urlando It’s the return of darkness and evil / It’s the return of the fire and the flame / It’s the return of my master Satan” (ecc.) senza grandi risultati a dire il vero; cazzo, lo faccio ancora adesso.

Non un buon investimento nel gioco dello scambio di registrazioni perché non lo voleva nessuno, ma io l’ho adorato fin dal primo istante anche per quella copertina oscura, quella luna offuscata da nubi tempestose che minacciavano disgrazie… Ecco, quella era musica per me. Era LA musica per me. E non chiamatela black metal, non esisteva neanche in forma embrionale; neppure death metal, anche se qualche tempo dopo, ai tempi di Under the Sign of the Black Mark, qualcuno tentò un accostamento a questa oscura entità musicale ancora in divenire. The Return è puro, autentico, distruttivo e sgraziato thrash metal, il più violento e nichilista che fosse mai stato concepito. Più ancora dell’esordio perché più studiato, anche se farete fatica a crederci. Il primo album fu scritto e registrato in quattro e quattr’otto, in circostanze quasi fortuite. The Return no, è venuto così intenzionalmente.

Brutale, selvaggio, comunque minimale come il suo introvabile predecessore (a quanto ne so, all’epoca in Italia arrivarono solo tre copie della prima stampa che oggi viene venduta oltre i 2000 euro; molte delle ristampe si sono reperite facilmente in tempi successivi e quasi tutti possiedono quelle, me compreso) il secondo album dei Bathory, quest’entità svedese misteriosa capeggiata da questo fantomatico individuo che si faceva chiamare in questo modo strano, Quorthon, che nessuno sapeva da che lingua derivasse, cosa volesse dire… Non c’era niente di più estremo, nulla di più smaccatamente metal-per-pochi, metal che neanche i metallari sopportavano. Quanto tempo è passato. Si è fatta la Storia in questo disco, ha aperto porte sigillate dal demonio in persona, ha disegnato scenari inconcepibili che nessun altro prima di allora aveva neanche osato immaginare. Ha traviato menti, marchiato a fuoco anime, cambiato intere esistenze. Anche la mia. (Griffar)

4 commenti

  • Charles Sbronzo
    Avatar di Charles Sbronzo

    Cazzo di ricordi che hai tirato su. Io nell’86 avevo 5 anni ma già passavo i sabato pomeriggio davanti a Rock’n’Folk o Maschio con quel vecchio metallaro di mio padre. I Bathory li scoprii molto più tardi quando appunto si entra nella fase ribelle e non vanno più bene i vari Judas Priest o Maiden che si ascoltano i genitori..

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  • Avatar di Paolo

    mammamia! Rock and Folk! Leggenda!!! Era uno dei miei posti preferiti assieme a Pagan Moon

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  • Luis Belfagor
    Avatar di Luis Belfagor

    Che bei tempi..quelli..io avevo 13 anni ed è stato l’inizio di tutto…bei tempi Quelli 🥲

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    • Avatar di Geilt

      The return è il mio disco preferito di Bathory. Quello che trovo straordinario è la sua capacità di essere visionario seppur grezzissimo. Mi ha cambiato la vita.

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