Cinquant’anni di Dressed to Kill, il disco che mi arruolò nella KISS Army
1975. Fine marzo/aprile. Cinquant’anni fa. Non ero manco un’idea e sarei nato di lì a sei anni. Eppure questo disco è uno dei più importanti della mia vita.
Nelle strade sudicie di New York City ormai la sporcizia e la violenza erano cosa abbastanza all’ordine del giorno. Alcune aree erano off limits se non appartenevi ad un determinato gruppo etnico o, peggio ancora, a una delle gang che infestavano la città. Penso a zone come il Lower East Side, dove lo squallore e la criminalità dominavano e se non eri “spagnolo” o non appartenevi ad una delle bande del quartiere potevi vedertela bruttissima. Times Square ospitava un coacervo di nefandezze, tra predatori seriali che si aggiravano sui marciapiedi, nei sex shop e nelle cabine di peep show dai vetri appiccicaticci.
La città era in decadenza totale, dopo essere stata la capitale del mondo per decenni. All’improvviso la spazzatura si accumulava in pile gigantesche ai bordi delle strade, i topi si sentivano un po’ come a Gardaland e, se si voleva una vita agiata e tranquilla, era meglio cercare fortuna nella San Fernando Valley o giù di lì. La capitale del Nuovo Mondo, che un tempo veniva vista come un faro di speranza da orde di disperati provenienti dal vecchio continente, stava piombando in un incubo grigio e metropolitano che avrebbe partorito personaggi come David Berkowitz.
Lorne Michaels stava per entrare nella storia con il Saturday Night Live, che nel corso dei decenni a venire avrebbe riportato New York City sulla mappa dell’intrattenimento popolare di qualità, grazie anche agli esordienti Chevy Chase, Dan Aykroyd, Gilda Radner, John Belushi e tutta quella grande generazione di comici. Per le strade, lo si vedeva nei film dell’epoca, c’era una catena di caffetterie che andava fortissimo, chiamata Chock Full o’ Nuts, ed è proprio questo storico marchio che voglio usare per introdurre un disco che magari all’epoca non fu considerato adeguatamente (la virata avvenne da là a pochi mesi, con il monumentale Alive!), ovvero Dressed to Kill. “Chock full o’ Hits” è la definizione che darei del terzo album dei Kiss, che erano ancora semi-sconosciuti all’epoca ma che con questo lavoro avrebbero tirato fuori la mezz’ora DEFINITIVA di quel rock elettrico e acchiappone che è impossibile non cantare a squarciagola, canzone incredibile dopo canzone incredibile.
Room Service, Two Timer, un mattone groovoso e pesantissimo, con quel riff cadenzato di cui sapevamo i Kiss essere capaci (la scia è quella dei loro brani più pesanti dell’epoca: Goin’ Blind e Strange Ways). She, Getaway, C’mon and Love me e così via. La durata è di appena mezz’ora ed è diluita originariamente da solchi silenziosi più lunghi tra un pezzo e l’altro, al fine di raggiungere i quindici minuti per facciata. Queste dieci canzoni sono tutti dei classici grazie ai quali quelli che allora erano poco più che bambini e che da là a cinque-dieci anni avrebbero messo su tutti i nostri gruppi preferiti hanno iniziato a strimpellare. Perché l’influenza dei Kiss abbraccia tutto l’hard rock/heavy metal nato nei primi anni Ottanta fino alla musica più violenta, sempre di quegli anni. Citofonare Scott Ian o famiglia Abbott. Ma non solo: pure alcune figure fondamentali del death svedese erano e sono fan sfegatati dei Kiss. Quindi, quando vi leggo sui social dire che sono un gruppo di buffoni mascherati e senza talento, magari per tirarvela da duri e puri, sappiate che fate piuttosto ridere.
La copertina viene dalla storica sessione fotografica realizzata all’angolo tra la 23esima e l’ottava avenue a New York City, con la famigliola sbalordita che guarda ‘sti quattro alieni venuti da chissà dove con ai piedi zeppe da mezzo metro, truccati da cose strane e vestiti in giacca e cravatta. Ricorda Ace Frehley:
“ Avevamo realizzato una sessione simile per Creem e pensammo fosse una buona idea farci ritrarre nel cuore della città truccati da scena e con la giacca e la cravatta. Come in una qualsiasi giornata in ufficio.”
Bob Gruen, che allora lavorava con Creem, ebbe mesi prima l’idea di fare una specie di teleromanzo dei Kiss, con loro “travestiti” da Clark Kent che, leggendo di un imminente concerto del canzonettaro di turno, si indignano e si trasformano nei quattro Kiss, dopo essersi liberati di giacca e cravatta all’interno di una sozza cabina telefonica, decisi a liberare la città dalla merda con il rock n’roll. La missione più onorevole che ci sia, mi pare.
Lo stesso Gruen ricorda di essere stato costretto a prestare il proprio completo elegante a Gene, il quale vestiva tre taglie in più, con l’effetto comico/fantozziano che potete immaginare, anche se, visto il contesto, questo particolare incide praticamente zero.
Ne vennero fuori un report fotografico ed una copertina entrambi storici, per uno degli album di rock duro più importanti del decennio, seppure quelli “studiati” diranno che, tra gli album in studio, Love Gun e Destroyer sono più importanti. Questione di gusti, anche se praticamente fino al 1979 i quattro alieni/demoni erano davvero intoccabili e hanno pubblicato una bomba dietro l’altra. Credetemi, non è un caso che l’ultimo pezzo di questo storico album sia la chiusura stessa dei loro concerti da cinquant’anni, appunto. (Piero Tola)



45 bob dance
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Sono d’accordo su tutto, salvo su una cosa.
“Quindi, quando vi leggo sui social dire che sono un gruppo di buffoni mascherati e senza talento, magari per tirarvela da duri e puri, sappiate che fate piuttosto ridere.”
Beh, dipende. Io ho quasi tutti i loro vinili, fino a Hot In The Shade, e qualcosa di successivo in cd, quindi spero di poter essere ritenuto al di sopra di ogni sospetto.
Ora, il tempo passa e le cose succedono; io non dico che sono un gruppo di buffoni mascherati e senza talento, ma dopo essersi coperti di indubbi meriti fra Dressed To Kill e mille altre cose che hanno fatto, certamente dal 2000 in poi hanno preso un verso che al meglio fa ridere le palle e per come la vedo io sono diventati ben poca cosa musicalmente, è rimasto solo trucco e parrucco a condire le sfrenate bramosie economiche di Stanley e Simmons.
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Certo…
poco importa se i trent’anni prima (30! Non 5, 10, 15… 30!) hanno fatto la storia non solo del Rock ma della Musica, del Costume, del Marketing, della Comunicazione, del Business… Consideriamoli dal 2000 in poi!
Ma per Favore…
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Guarda che io i loro dischi vecchi ancora li ascolto, e me li godo assai; solo che adesso sono quello che sono, e avrebbero anche leggermente rotto i coglioni. Non ci posso fare niente se dopo avere scritto pagine su pagine della storia del rock, hanno deciso di darsi alle buffonate più turpi, minchiate quali far proseguire la banda con quattro pischelli scritturati all’uopo e altre menare varie. Sono loro stessi che si stanno infangando da soli.
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Mai apprezzati, per me il più grande caso di band sopravvalutata del rock/hard rock
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