Evocare il demonio coi CARONTE: Spiritvs
Quello dei Caronte è un percorso connotato da una grandissima crescita e da una costante evoluzione del proprio suono che, al contempo, non ha perso un briciolo in termini di coerenza. Analizzando la discografia dei parmigiani a partire dall’ottimo debutto Ascension ad oggi, infatti, è possibile ritrovare la stessa matrice doom che caratterizzava i primi lavori che, però, si è sempre più aperta a svariate sonorità che hanno reso ricco, personale e immediatamente riconoscibile il suono del gruppo.
Se, come bene evidenziato da Ciccio nel report del loro recente concerto capitolino, la proposta era improntata su un doom epico ma non epic doom tout-court, proseguendo nella loro carriera, soprattutto a partire dal precedente Wolves of Thelema a tali elementi si sono unite influenze stoner, altre hard rock, ad altre di metal classico e financo gothic. Il tutto in modo fluido, senza compartimenti stagni e rendendo molto più immediata la proposta della band. Il che non è un male, perché i Caronte non hanno perso nulla in termini di potenza e fascino, ma, al contrario, sono riusciti a generare un magma sonoro estremamente coinvolgente e unitario che fa subito breccia nella mente dell’ascoltatore.
Se l’apertura di questo Spiritvs è affidata alla ritmata e più classica Scarlet Love, che con i suoi stacchi quasi NWOBHM riesce a convincere sin dal primo ascolto, già dal secondo brano, Aiwass Calling, si inizia a comprendere l’ulteriore passo in avanti fatto dai Nostri. L’introduzione di una seconda chitarra, che già tanto aveva inciso nel precedente album, fa la differenza e rende molto più dinamiche e avvolgenti le strutture su cui si staglia la voce teatrale, intensa e tremendamente evocativa di Dorian Bones, qui alla sua migliore prova in assoluto.
Un lavoro più ricco e che, seppur incentrato su uno stesso mood, non rischia mai di essere monotono o ripetitivo, come si intuisce dalla successiva, epica Sagittarius Supernovae, che nei suoi quasi sei minuti di durata riesce a fungere da perfetta summa e punto di incontro del passato e del presente della band. E più si va avanti nell’ascolto più si fa fatica a trovare difetti o elementi poco convincenti: a partire da un suono finalmente pieno e caldo che ti colpisce sin da subito, come nell’oscura Antikristos, con un cantato à-la Danzig che si apre su un break centrale estremamente epico e riuscito.
Non ci sono cali di ispirazione, al contrario l’album cresce di intensità andando avanti e trova il suo apice nella splendida doppietta finale di Fire Walk With Me / Interstellar Snakes of Gold. La prima, oscura, mefistofelica, scandita da un ritmo cadenzato, riesce a delineare un’atmosfera che puzza di zolfo in ogni sua nota e che, tra rimandi – o forse mere suggestioni – lynchiane e un immaginario “occulto” decisamente in linea con l’immagine della band, permette a Dorian Bones di mutare continuamente registro e ad ammaliare l’ascoltatore come non mai, chiudendosi con un assolo tanto classico quanto riuscito. La seconda, prima ed unica anticipazione di Spiritvus è invece estremamente rappresentativa della proposta più immediata dei Caronte: riffone gothic rock, cantato sornione e ritornello stoner che ti si stampa in testa da subito e non se ne va più.
Quaranta minuti scarsi esaltanti, perturbanti, ammalianti e che ti fanno venir voglia di risalire subito sulla giostra, di passare la giornata a cantare a squarciagola facendoti letteralmente muovere il culo. Una delle più gradite conferme dell’anno che, insieme all’ottimo ritorno dei Messa, dà lustro alla scena nostrana che meriterebbe – e ha le potenzialità per farlo – di raggiungere un palcoscenico molto più ampio. Nel mentre, ci godiamo questi sette brani che continueremo ad ascoltare a lungo in questo 2025.


