I BLOODYWOOD cominciano a fare sul serio: Nu Delhi
Mi ricordo ancora l’attacco della recensione, su un vecchio numero di Metal Shock, di Power of the Dragonflame, che faceva più o meno così: “Ma che è successo, i Rhapsody si sono incazzati?” Ecco, anch’io potrei attaccare questa recensione nella stessa maniera. Ma che è successo, i Bloodywood si sono incazzati? Facciamo un passo indietro però. Il precedente album, Rakshak del 2022, fu un successo annunciato, visto che la band, prima ancora di darlo alle stampe, si era già esibita al Wacken, cosa permessa dal successo che i Bloodywood stavano ottenendo in rete. Sono cose che capitano nel ventunesimo secolo. L’ album era fico. Io stesso, che non sono mai stato un amante di certe sonorità, lo trovavo davvero bello. Pezzi scritti bene, orecchiabili e potenti. Si meritavano il successo che stavano avendo? Secondo me sì. Bene, finita la luna di miele però c’era da cominciare a lavorare davvero, ed ero curioso di sentire cosa sarebbe uscito dal secondo lavoro. Sarò onesto: non ci credevo; e invece mi devo ricredere. Alla faccia mia, appunto.
I Bloodywood tornano con Nu Delhi, e affinano ulteriormente il loro stile, fatto di nu metal, talvolta metalcore, e tradizione musicale indiana. L’album si dimostra più maturo, più complesso, più particolareggiato, più omogeneo, e, come dicevo all’inizio, molto più incazzato. Se Rakshak era un’esplosione di energia grezza, qui la band ha acquisito consapevolezza, sa usare meglio le proprie risorse e bilancia con maestria aggressività e melodia. Le influenze sono sempre quelle: il nu-metal di inizio anni 2000, Linkin Park su tutti, certo metal groovettoso, (scommetterei che si siano studiati i Sepultura) e le tradizioni folk indiane, con strumenti come il dhol e il flauto bansuri. La produzione è impeccabile, ovviamente. Tra le tracce che spaccano di più dobbiamo citare sicuramente Bekhauf, tamarrissima e divertente canzone che vede la partecipazione delle Babymetal, Tadka, oscura e potente, e la traccia omonima che chiude il disco. I Bloodywood, ascolto dopo ascolto, convincono di brutto e dimostrano di non essere solo dei fenomeni della rete, ma una band con una chiara identità e un suono in evoluzione. (Luca Venturini)

