Avere vent’anni: THE MARS VOLTA – Frances the Mute

Tagliamo corto: qui parliamo di un capolavoro. Uno di quelli che potrebbe benissimo stare in fianco ai maggiori album rock della storia. Il suo problema è quello di essere uscito in un’epoca in cui il genere era sulla via dell’irrilevanza per l’industria discografica. Fosse uscito tre decenni prima sarebbe stato diverso, ma tant’è.

I The Mars Volta nascono a seguito dello scioglimento degli At the Drive-In, band post-hardcore texana, che con 3 album e 4 ep era riuscita a farsi un buon nome anche fuori dai confini americani. La fine arrivò nel 2001 a causa della classica divergenza artistica: alcuni membri volevano sperimentare di più, mentre altri volevano continuare a suonare come avevano fatto fino ad allora, senza sconvolgere troppo lo stile. Fu così che i primi, il chitarrista Omar Rodriguez Lopez e il cantante Cedric Bixler Zavala, decisero di mollare, e farsi un progetto dove poter dar sfogo ai loro sghiribizzi creativi: i The Mars Volta, appunto. Nel 2002 pubblicano un EP, e l’anno successivo escono con il primo disco dal titolo De-Loused in the Comatorium, la cui produzione fu affidata a Rick Rubin. Scelta giusta dal punto di vista economico, visto che questo rimane il loro disco più venduto (1.5 milioni di copie), ma castrante dal punto di vista artistico, tant’è che da qui in avanti sarà lo stesso Rodriguez Lopez a mettere mano a tutte le produzioni. Fin dagli esordi, la band ha un’attività serrata di esibizioni dal vivo, ma in poco tempo arriva nuovamente in studio per incidere il secondo disco: Frances the Mute. È proprio con questo lavoro che le follie creative dei fondatori raggiungono il loro picco massimo. Liberi dalla mentalità commerciale di Rubin, i due danno vita ad un opera lunga 76 minuti che unisce metal, rock progressivo ,rock psichedelico, fusion, jazz e musica latina.

Oltre ad esserci delle gran canzoni (mi sembra il minimo), ci sono due elementi che fanno di questo disco un assoluto capolavoro. Il primo è la devastante coppia basso-batteria composta da Juan Alderete de la Peña, già bassista e fondatore dei Racer X, e dal batterista John Theodore, il quale, a mio avviso, è l’unico al mondo che può considerarsi davvero l’erede di John Bonham, ad oggi. Theodore, qualche anno dopo, lascerà la band su invito di Lopez, il quale successivmente arrivò ad ammettere, durante un’intervista, che l’inizio della crisi della band fu proprio l’ aver allontanato il batterista. Theodore aveva uno stile unico, che univa la possenza di Bonham con l’intricatezza dei ritmi funk-fusion e, soprattutto, un tiro pazzesco, irreplicabile da chiunque l’avrebbe sostituito in seguito.

Il secondo elemento è composto dai testi e dalla storia che raccontano. Supportato da melodie, sensazioni e atomosfere che ne seguono i risvolti narrativi, il concept dell’album si basa su quanto scritto in un diario trovato in un’auto a noleggio da parte di Ward, polistrumentista cofondatore della band, e parlano di tale Vismund Cygnus, spacciatore nonché tossicodipendente di cui la Frances del titolo è la madre prostituta, che va cercando il suo posto nel mondo attraverso la ricostruzione della storia della propria famiglia. Attraverso le sue parole scopriamo che Frances è stata assassinata, il padre non si sa chi sia, Elvia, la zia che dà il titolo alla terza traccia, è scappata, e che Miranda, la nonna di cui si parla nel quarto pezzo, perde la fede a causa delle vicende familiari. Nell’ultima epica, mastodontica canzone di 32 minuti, Cassandra Gemini, si narra infine della vendetta che muove le intenzioni di Vismund contro coloro che hanno distrutto così la sua famiglia condannandolo a un’esisteza miserabile. Il tutto però si muove tra la realtà e l’allucinazione (ricordate che il protagonista è un tossicodipendente) per cui spesso i testi sono confusi, fatti di flusso di coscienza, e le vicende non sono così ben delineate. Una storia che, per temi e lirismo, potrebbe benissimo essere considerata un capolavoro della letteratura di lingua spagnola, al pari dei lavori di scrittori come Roberto Bolaño e Sergio González Rodríguez. Zavala, cantante e autore dei testi, li interpreta in maniera drammatica e molto sentita, con una varietà di dinamiche impressionante.

Ora, si dice che l’album sia di difficile assimilazione. Sì, non è immediato, questo è sicuro, ma d’altro canto non è nemmeno così cervellotico come potrebbe parere. La stessa canzone di chiusura arriva al ritornello nel giro di 2 minuti e mezzo, prima di lanciarsi nel trip sonoro di oltre mezz’ora. Ma le cose non sono difficili per il gusto dei The Mars Volta di autocompiacersi; lo sono perché come mai si sarebbe potuta raccontare la storia di cui sopra, se non attraverso continui saliscendi, parti rabbiose, parti rilassate, e parti psicadeliche? Non c’è niente di artificioso qui dentro. È tutto lì dove deve essere. Questo disco è talmente estremo, unico e geniale, che come tutte le opere di tale calibro non troverete recensioni che ne parlano sobriamente: lo si ama o lo si odia. Io non faccio eccezione; è nella mia personale top 3 dei dischi di sempre, e Cassandra Gemini è la mia canzone preferita. In seguito i The Mars Volta avrebbero fatto uscire altri due bei dischi prima di iniziare a farne di inutili, se non proprio brutti. Se non li conoscete, io vi consiglio di partire dall’esordio De-Loused in the Comatorium, che è molto più inquadrato e vi fa capire lo stile della band. Poi abbandonatelo e combattete il moderno logorio dell’attenzione dedicandovi a Frances the Mute. (Luca Venturini)

5 commenti

  • Giuseppe Corrente
    Avatar di Giuseppe Corrente

    li sto scoprendo in questi giorni, grazie a Spotify, che me li ha suggeriti grazie ai miei gusti. Evviva l’algoritmo! Sono potentissimi, e anche grandi musicisti (per quel che posso essere in grado di giudicare, il batterista mi sembra uno sul livello di Bill Ward, ed ho detto tutto…). Sto scrivendo questo commento con the widow in sottofondo…

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  • Matteo Folegatti
    Avatar di Matteo Folegatti

    Non è che “si stavano facendo conoscere”, c’è stato un momento in cui sembrava che gli ATDI fossero ad un passo dal diventare i nuovi Nirvana. Solo che invece di fare il loro Nevermind (cosa che alcuni della band avrebbero voluto fare, cioè quelli che poi sono diventati gli Sparta) i due capelloni si sono consacrati agli allucinogeni e alla sperimentazione. I primi dei Mars Volta hanno delle idee a dir poco geniali ma ad ascoltare un disco per intero non ci sono mai riuscito. Chissà come sarebbe potuta andare.

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  • Avatar di Cure_Eclipse

    At the Drive-In 1 – The Mars Volta 0

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