Bobby Liebling vi seppellirà tutti: PENTAGRAM – Lightning in a Bottle
Certo che ne è passata di acqua sotto i ponti da Curious Volume. Chi ha visto il bellissimo documentario Last Days Here sa bene che ogni giorno che Iddio manda in terra non può che essere una benedizione per Bobby Liebling, dopo più di mezzo secolo di abusi spaventosi. Quindi consideriamo come un bel regalo il fatto che oggi esca un altro buon disco dei Pentagram.
Lightning in a Bottle continua sulla scia di Curious Volume, una scia che dall’inizio degli anni Dieci ha allontanato i suoni di questa storica banda da sinistri riverberi e ammuffiti fuzz vari, optando più per delle medie/alte frequenze chiare e potenti, come ci si aspetta da una delle entità che hanno storicamente contribuito a definire il concetto di “pesantezza” in musica ma che al tempo stesso non ignora quello che le succede intorno.
Certamente non hanno dovuto seguire la scia di nessuno, i Pentagram, ma il successo commerciale di un genere come lo stoner, che assieme al black metal è diventato di gran lunga il più inflazionato e modaiolo di tutto lo spettro della musica der demonio, ha fatto sì che la produzione di questo Lightning… e dei due precedenti dischi tenesse conto di quello che è il “trend” sonico degli ultimi decenni. Ecco quindi che la “muffa” viene lavata via, e seppure lo spirito autentico, ovvero quello che si rifà alle primarie e più vecchie influenze di Liebling e soci (Sir Lord Baltimore, High Tide e tutto il proto-heavy metal psichedelico della fine degli anni Sessanta, ecc) rimane ben saldo, qualcosa si perde. Patti chiari: questo non è A Day of Reckoning, però è forse persino più ispirato di Curious Volume, che pure è un ottimo segno, visto che la differenza principale tra questo disco e quell’altro è che i Pentagram nel frattempo hanno perso Victor Griffin, il quale avendo contribuito pesantemente in passato a creare un suono che è un marchio di fabbrica, non è certo facilmente rimpiazzabile.
Bobby Liebling, si sa, non è certo personaggio facile, e tra no show e varie cazzate combinate negli anni probabilmente avrà fatto la stronzata di troppo che ha fatto gettare la spugna anche ad un fedelissimo come Griffin. Non sono a conoscenza degli antefatti, ma posso dire tranquillamente che il semi-sconosciuto Tony Reed si difende alla grande, e ci fa piombare sulla testa riffoni da 150 chili l’uno come quelli di Walk The Sociapath o I Spoke to Death, forse i due punti salienti dell’intero disco, che contiene comunque dei bei momenti nel mezzo, e che è un ottimo punto di partenza per lanciare un’altra turnè internazionale, sperando che Bobby abbia veramente sistemato tutto ciò che non andava nella sua incredibile vita. (Piero Tola)

